Preoccupante aumento dei suicidi tra adolescenti: esperti e autorità invitano a riflettere sull’impatto dei social network. Un dibattito urgente
“È tempo di aprire un dibattito serio sulla possibilità di vietare i social media ai bambini”, ha dichiarato Caroline Gennez, ministra del Welfare, in risposta all’inquietante aumento dei casi di suicidi tra i più piccoli. La proposta non è frutto di un capriccio, ma nasce da numeri allarmanti.
Dopo la crisi del coronavirus, gli ospedali hanno registrato un’impennata di minori che finiscono in pronto soccorso a causa di tentativi di suicidio, pensieri cupi e comportamenti autolesionistici. Nel 2018, le chiamate al Centro antiveleni per i minori di 15 anni si aggiravano intorno alle 413. Nel 2021, invece, il dato ha raggiunto il picco, toccando i 543. Queste cifre fanno riflettere e spingono a considerare con urgenza misure concrete per proteggere la salute mentale dei più vulnerabili.
Gennez non si limita a lamentarsi: “Il fatto che perfino i bambini delle scuole elementari abbiano pensieri così oscuri e che siano portati a farsi del male dovrebbe preoccupare tutti noi”, ha affermato, aggiungendo che i social media sono tra i principali responsabili di questo deterioramento.
Secondo lei, il bullismo si è evoluto. Non è più limitato alle aule scolastiche, ma avviene in modo incessante, 24 ore su 24. A questo si aggiungono ideali di bellezza irrealistici, immagini di violenza brutale e una marea di fake news che insieme creano un cocktail pericoloso.
Non tutti, però, sono d’accordo con l’idea di un divieto totale. Alcuni, infatti, sottolineano l’importanza dei social media come strumento di connessione e di scambio culturale per i giovani. Un esempio viene da Cieltje Van Achter, che ha espresso in parlamento la sua contrarietà al divieto.
“I social media fanno parte della vita quotidiana dei nostri figli. Creano legami e permettono di comunicare e di apprendere. Non possono essere rimossi come se fossero un accessorio superfluo”, ha spiegato. Secondo lei, ciò che serve è educare i giovani ad un uso consapevole e critico, piuttosto che imporre divieti che rischiano di isolare e tagliare fuori una parte importante della loro esperienza.
Un ulteriore spunto viene dal dibattito sull’algoritmo: alcuni parlamentari chiedono un intervento per regolamentarne il funzionamento per gli utenti minorenni. Si propone che, per chi ha meno di 18 anni, gli algoritmi vengano disattivati o limitati, in modo da evitare che determinino in maniera intransigente cosa vedere e influenzino negativamente l’esperienza digitale.
È una richiesta che punta a ristabilire un certo equilibrio, in cui l’educazione mediatica diventi la chiave per navigare in un mondo sempre più digitale. Il tema, dunque, non riguarda soltanto la questione della sicurezza dei minori, ma un vero e proprio cambio di paradigma nell’educazione digitale.
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