I primi caldi mettono a rischio la nostra salute: il clima umido e afoso è il terreno migliore per le epidemie. Vediamo cosa dicono i medici.
In molte città italiane il caldo è già scoppiato e nei giorni scorsi si sono registrate temperature vicine ai 30 gradi. Tempo di correre ai ripari. Infatti è proprio il caldo uno dei fattori che incide in misura più rilevante sulla diffusione di pericolose epidemie.
Se pensavate di averle viste tutte con il Covid-19, sbagliavate di grosso: il Covid, probabilmente, è stato solo l’inizio. Del resto gli esperti ci avevano avvisato: in futuro le epidemie saranno sempre più frequenti. Il Covid ha lasciato in tutti noi una sorta di terrore: terrore più che giustificato, sia chiaro.
Ma dobbiamo essere consapevoli che non è stata l’ultima epidemia che dovremo affrontare. Da qui l’importanza di comprendere che cosa può scatenare la diffusione dei virus in modo da cercare, in futuro, di limitare il più possibile i danni. Un gruppo di ricercatori guidati dall’University of Notre Dame, negli Stati Uniti, ha esaminato oltre 2.900 pubblicazioni sull’argomento.
L’obiettivo è capire quali sono i fattori che scatenano le epidemie e se noi esseri umani possiamo essere, in qualche modo responsabili ed eventualmente in quale modo possiamo intervenire. Dallo studio degli scienziati statunitensi è emerso che sono 5 i fattori che, soprattutto, possono favorire l’insorgenza dei virus e la nascita di nuove epidemie.
Noi esseri umani non siamo responsabili di ogni calamità ma, certamente, possiamo fare molto con i nostri comportamenti e con le nostre scelte quotidiane. Il primo passo per non ripetere gli errori del passato è la conoscenza. Per questo motivo un gruppo di ricercatori ha cercato di individuare quali sono i fattori che creano un terreno fertile per lo sviluppo delle epidemie.
Come anticipato, gli scienziati dell’Università di Notre Dame hanno individuato i 5 fattori ambientali che possono favorire le epidemie: perdita di biodiversità, cambiamento climatico, inquinamento chimico, trasformazioni degli habitat e introduzione di specie non autoctone. Dallo studio è emerso che il fattore che maggiormente incide sulla nascita di nuove malattie infettive è la perdita di biodiversità. Il venir meno della biodiversità, nel corso degli anni, ha aumentato in modo significato la portata delle malattie infettive sia tra gli uomini che tra le altre specie animali.
Animali e uomini, del resto, sono strettamente collegati quando si parla di malattie virali: sono sempre di più le infezioni che fanno il salto di specie passando da animale a essere umano. Circa tre quarti delle nuove malattie infettive si originano proprio in questo modo: attraverso il passaggio dagli animali agli uomini.
Le aree maggiormente urbanizzate sono risultate essere quelle meno a rischio proprio per la minore presenza di animali. Sulla base dei risultati di questo studio, quindi, gli studiosi raccomandano, al fine di prevenire e ridurre il rischio di nuove epidemie, di investire nella conservazione della biodiversità e prevenire l’arrivo di specie non autoctone. Essenziale anche, secondo gli esperti, ridurre le emissioni per evitare l’effetto gas serra che produce un aumento della temperatura del Pianeta.
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