Ha davvero dell’incredibile la deriva che sta prendendo la sanità italiana: se non hai i soldi per pagarti un privato, rischi di dover aspettare l’eternità
Tre anni e mezzo di attesa per una colonscopia. Non è uno scherzo, ma la realtà di una sanità pubblica che sembra aver perso il contatto con le esigenze reali dei cittadini. “Prenotiamo per maggio 2028“, è la risposta ricevuta da una donna che, impegnativa alla mano, si è rivolta al Centro Unico di Prenotazione (CUP).
Tre anni e mezzo per un esame diagnostico che potrebbe salvare una vita. Nel frattempo? Il rischio non è solo quello di perdere la pazienza, ma qualcosa di molto più prezioso.
L’ironia amara della paziente – “Nel frattempo posso anche morire” – racconta una verità che brucia. Per chi ha fretta, ma soprattutto denaro, esiste sempre una via d’uscita: l’intramoenia o il privato. Una differenza non solo di tempistiche, ma di principio.
È lo stesso medico del servizio pubblico, in molti casi, che effettua l’esame, ma fuori orario, con un prezzo decisamente più alto rispetto al ticket. Paghi, e il tempo diventa improvvisamente elastico. Non paghi, e il sistema sanitario regionale ti mette in fila per un futuro che sembra irraggiungibile.
Una prenotazione infinita: il calvario del CUP
Il calvario, però, inizia ben prima della diagnosi. Un video pubblicato dall’Unione Sarda documenta la trafila per riuscire anche solo a parlare con un operatore. Al primo tentativo, la linea cade. Al secondo, “signora, non la sento“. Al terzo, finalmente, si arriva a un dialogo. “Ci scusi, abbiamo problemi alle linee. Se cade, richiami“. Un mantra che accompagna chiunque osi sfidare il CUP.
Una volta stabilita la connessione, il risultato è disarmante. “A Cagliari c’è disponibilità solo a maggio 2028. Possiamo provare a cercare in tutta la Sardegna“, suggerisce l’operatrice. Nuova attesa, nuova delusione. “Sempre e solo a Cagliari. Sempre e solo nel 2028“.
Una colonscopia non è un capriccio. È un esame cruciale nello screening per il cancro al colon, una malattia che, se diagnosticata in tempo, può essere curata con successo. Tre anni e mezzo di attesa, però, possono fare la differenza tra la vita e la morte. Il paradosso è servito: un sistema sanitario pubblico che, nato per tutelare la salute di tutti, si rivela spesso inadeguato di fronte alle urgenze della vita reale.
Nel frattempo, i cittadini si arrangiano come possono, tra disagi, spese e la sensazione, sempre più forte, di essere abbandonati a se stessi.