L’epilogo che contraddistingue gli indumenti gettati nei cassonetti gialli è inaspettato. Seguendo il percorso si scopre qualcosa di inedito.
Quante volte si è gettato nei cassonetti gialli quegli indumenti che non si mettono più? Si tratta di un gesto nobile che viene effettuato per la maggior parte, secondo i dati recuperati, nelle città più affollate e con una maggior suddivisione di “classi sociali”. Ceto ricco, medio e umile, chi fa uso di questi abiti dismessi e vecchi? Dalle cifre si evince una situazione inedita, ma soprattutto si fa il punto della situazione scoprendo cosa succede al termine di questa pratica.
Tra le città in cui i cittadini attuano maggiormente questa scelta ci sono quelle in cui il divario sociale è maggiore. Infatti, le prescelte sono proprio Milano e Roma, nelle quali sono molto ben visibili i cassonetti gialli in questione. Dal 2022 la raccolta differenziata del tessile è obbligatoria in Italia, ma in queste due città è già presente da molto tempo proprio per rispettare e soddisfare le esigenze di questi due luoghi che ne hanno di bisogno.
Quello che quasi nessuno sa è che molti di questi abiti sono nuovi, hanno ancora il cartellino. Ciò accade perché la moda, i trend da seguire, e le ricchezze di alcune categorie di persone, vanno oltre le condizioni di disagio di chi invece non riesce ad arrivare a fine mese. Ma allora, dove finiscono li indumenti gettati via?
Gli indumenti nei cassonetti gialli fanno questa fine, incredibile!
L’azione di raccolta che avviene nei cassonetti è fondamentale. È quel momento di raccordo in cui gli indumenti dismessi vengono posti in un unico punto, per poi continuare il “viaggio” verso una meta inedita. Certo, è ovvio che non si trovano solo i capi nuovi sopracitati, sono “occasioni”, ma nella maggior parte dei casi ci sono vestiti bucati e rovinati. Essenziale è però non dare via abiti sporchi, per entrare nei cassonetti gialli devono essere igienizzati. Ma dove vanno a finire? I dati sono importanti per capire la portata del fenomeno.
I dati del Rapporto Rifiuti Urbani Ispra parlano di circa 150 mila tonnellate di vestiti l’anno. Questi fanno fruttare ben 200 milioni di euro. E’ senza dubbio un’attività che rende, ma anche che si prende cura dell’ambiente. Che fine fanno i capi? Ci sono dei volontari che dopo aver prelevato gli indumenti, ne fanno selezione. Appunto, mettono insieme i calzini spaiati, osservano quelli messi in condizioni migliori, e quelli che invece sono messi proprio male.
Questi ultimi vanno utilizzati poi a livello industriale, quindi vengono riciclati e riutilizzati nel mondo de lavoro. Si parla di pezze e di stracci che ampiamente impiegate nelle fabbriche. Mentre quelli “buoni”, si può fare una stima del 70%, sono rimessi a nuovo per quanto possibile e lavati, per poi essere venduti nei Paesi in Via di Sviluppo che ne hanno necessità.
Una piccola parte è incenerita, ma non finisce qui. Per ultimi, ci sono degli indumenti rilasciati ai Paesi che attuano attività di sfilacciatura, come la Cina e l’India, poiché riprendono il tessuto per realizzare nuove vesti. Insomma, il giro compiuto può essere davvero più lungo del previsto. Qualsiasi sia la direzione si evince che riciclare gli abiti e non gettarli come immondizia può essere sia redditizio che fonte di benessere per il mondo intero.