La legge sulla cittadinanza italiana si basa dal 1992 sul principio dello diritto di sangue, ma negli ultimi tempi la discussione si è fatta sempre più rovente anche in Parlamento
Negli ultimi tempi in Italia si è ritornato a parlare con sempre più insistenza di una riforma della legge sulla cittadinanza, quella legge che sancisce chi può di fatto essere riconosciuto come cittadino o cittadina della Repubblica Italiana. A regolare questo aspetto c’è una legge che risale ormai a oltre trent’anni fa e sono molti coloro che manifestano l’esigenza di una sostanziale riformulazione alla luce di come è cambiata la società nel mondo.
Si è a tutti gli effetti cittadini italiani se si nasce o si è adottati da cittadini italiani. Oppure se si nasce sul territorio italiano da genitori apolidi o se i genitori sono ignoti o non possono trasmettere la propria cittadinanza al figlio secondo la legge dello Stato di provenienza. Inoltre possono chiedere di diventare a tutti gli effetti “italiani” anche gli stranieri che risiedono in Italia da almeno dieci anni e sono in possesso di determinati requisiti. Ultimo caso è quello che permette di richiedere la cittadinanza per matrimonio.
Come sempre accade nel nostro paese, serve un grande evento per provare a cambiare situazioni ferme e cristallizzate da anni. Ad esempio i grandi successi ottenuti alle recenti Olimpiadi di Parigi da più di un atleta italiano nato da almeno un genitore proveniente da un’altra nazione hanno riaperto la discussione a tutti i livelli, sul metodo migliore per ottenere la cittadinanza italiana e si è tornato a parlare ad esempio di Ius Soli. Ma la situazione rischia, come sempre, di diventare più la causa per scatenare polemiche politiche invece di sanare situazioni in essere conclamate da anni. Dal 1992, con la cosiddetta legge 91, in Italia vige il cosiddetto ius sanguinis, dal latino “diritto di sangue”, ovvero il principio secondo cui è cittadino italiano chi nasce da padre e madre che siano già cittadini italiani. Oltre che per nascita, oggi come oggi sono solo altre due le modalità secondo le quali si può acquisire la cittadinanza: per naturalizzazione, ovvero dopo aver compiuto 18 anni e aver passato almeno dieci anni ininterrotti di residenza legale sul territorio nazionale, o per matrimonio, dopo aver sposato una persona con cittadinanza italiana e dopo almeno due anni di residenza in Italia dal giorno delle nozze. Ma il mondo in questi trenta anni è andato avanti e la società è diventata molto più multietnica con intere generazioni nate nel nostro paese.
Ecco perchè oggi si è tornato a parlare di Ius Soli, ovvero al “diritto di suolo”, un sistema ad esempio in vigore da anni negli Stati Uniti, dove chiunque nasca sul territorio americano, a prescindere dalla provenienza dei suoi genitori, acquisisce immediatamente la cittadinanza americana. Altri Paesi hanno invece un ius soli calmierato, ossia soggetto a delle determinate condizioni che variano da paese a paese. In alcuni serve il permesso di soggiorno di almeno tre anni da parte di un genitore, in altri i genitori devono risiedere in quella nazione da cinque a otto anni. In Italia invece ad oggi lo ius soli viene concesso solo in casi eccezionali. Viene infatti applicato ai figli di genitori apolidi o ignoti e a chi è nato da stranieri che a causa delle leggi del loro Stato di provenienza non possono trasmettere la cittadinanza di quel Paese. Dal 2017 giace ferma al Senato una proposta di legge che modifica lo Ius Soli attuale equiparandolo a quello di alcune nazioni europee, cioè se almeno uno dei due genitori si trova legalmente in Italia da un minimo 5 anni.
Nel corso degli ultimi anni sono state portate avanti da più forze politiche altre proposte di legge per integrare sempre più giovani e poter loro far prendere la cittadinanza italiana agganciandola al sistema scolastico presente nel nostro paese. In principio era stato presentato come Ius Culturae poi, con l’ultima proposta del 2022 che legava appunto la cittadinanza italiana di un minore al sistema scolastico, si è cominciato a parlare di Ius Scholae. L’acquisizione della cittadinanza sarebbe arrivata al minore di almeno 12 anni al compimento di un ciclo di studi all’interno del sistema scolastico nazionale. Un censimento condotto nell’anno scolastico 2022-23 ha infatti calcolato che sono quasi un milione gli alunni con cittadinanza non italiana che frequentano gli istituti italiani, l’11,2 per cento della popolazione scolastica avente diritto.
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