Giovanni Caruso difende Filippo Turetta, reo confesso dell’omicidio di Giulia Cecchettin. “Non è in grado”: la strategia contro l’ergastolo
Nel corso di lunedì 25 novembre, per Filippo Turetta l’accusa ha chiesto la pena dell’ergastolo contestandogli la premeditazione certa, in relazione all’omicidio dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin. Oggi, in aula, la difesa del reo confesso tenta il tutto per tutto per evitargli il carcere a vita: qual è la strategia di Giovanni Caruso, il legale di Turetta.
“Oggi ho un compito non facile: assistere, difendere un imputato reo confesso di un omicidio efferato, gravissimo e altri reati satellite” apre così Giovanni Caruso, l’avvocato di Filippo Turetta chiamato davanti alla Corte d’Assise di Venezia per sostenere la sua arringa difensiva. La sua strategia per evitare che la richiesta di ergastolo vada in porto è chiara: si punta sull’incapacità.
“Assisto un giovane ragazzo che ha ucciso una giovane ragazza privandola della vita, dei ricordi, dei sogni, delle speranze, dei progetti e la priva di tutti i legami che la univano alle persone che l’amavano e aveva riposto in lei aspettative di un futuro radioso” esordisce l’avvocato Caruso, iniziando un’arringa difensiva destinata a far parlare di sé. A suo dire, infatti, il fulcro della difesa di Turetta va identificato nell’incapacità del ragazzo di pianificare alcunché: secondo il legale, se c’è una persona che non sa premeditare niente di niente è proprio Filippo Turetta.
“Non me ne voglia Filippo ma, a meno che non sia il più consumatore degli attori, è insicuro: è insicuro di fare gli esami, non sa se riprendere a giocare a pallavolo, non sa se Giulia è ancora innamorata di lui” continua, sostenendo quindi che tale incertezza è del tutto incoerente con l’ipotesi della premeditazione, che invece richiede attenzione ed estrema lucidità nelle intenzioni e nelle azioni.
Secondo il legale di Turetta, la ormai tristemente famosa lista di oggetti da comprare che è stata requisita al reo confesso ed utilizzata dall’accusa come prova della premeditazione potrebbe essere nient’altro che una “fantasia di agiti violenti“, non sufficiente quindi a provare il proposito dell’omicidio.
Giovanni Caruso, poi, descrivendo il suo lavoro di difesa di Filippo Turetta davanti alla Corte d’Assise come una situazione che vede affrontarsi faccia a faccia un colibrì e un leone, cerca di fare leva sul peso che l’ergastolo avrebbe per un ragazzo dell’età del reo confesso. “Non dovete comprendere Filippo”, apostrofa i giudici, “…dovete mettere un argine, quello della legalità”.
A suo dire, infatti, l’ergastolo è da molti e da diverso tempo ritenuto una pena “degradante e inumana“, che non mira alla riabilitazione del condannato. “L’ergastolo è il tributo che lo stato di diritto paga alla pena vendicativa“, conclude. La sentenza, comunque, è attesa per il 3 dicembre: non resta da capire se l’arringa difensiva del legale sia stata sufficiente o meno per portare l’accusa a ridimensionare la pena.
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