Il segreto geochimico dell’oro: quando lo zolfo diventa “ascensore” per il metallo prezioso
È un elemento spesso trascurato nella sua quotidiana banalità. Eppure, lo zolfo si rivela il motore invisibile che spinge l’oro dal profondo del mantello terrestre fino alla superficie. Lo sanno in pochissimi, ma questo viaggio non è affatto casuale. Si tratta di un complesso gioco chimico e geologico. E oggi è stato finalmente spiegato grazie a un innovativo modello termodinamico sviluppato da un team internazionale guidato dalla China University of Geosciences di Pechino.
Si parla nello specifico del risultato di una ricerca, pubblicato sulla prestigiosa rivista Pnas dell’Accademia americana delle scienze. Questa non si limita a una scoperta accademica, nient’affatto. Al contrario, l’evidenza scientifica apre nuovi scenari per le future esplorazioni minerarie, indicando dove e come cercare i depositi più ricchi.
Prima di tutto i depositi d’oro più preziosi nascono vicino ai vulcani, nelle cosiddette zone di subduzione. Per chi non lo sapesse, questi sono luoghi in cui una placca terrestre scivola sotto un’altra. Così facendo si innesca un processo che risucchia il magma dal profondo e lo spinge verso l’esterno. È uno spettacolo che si ripete con forza lungo la cintura di fuoco del Pacifico, un arco geologico che circonda l’Oceano e tocca continenti come Asia, America e Oceania.
Così Adam Simon, co-autore dello studio e professore all’Università del Michigan: “In tutte le aree che circondano il Pacifico, dalla Nuova Zelanda al Giappone, fino all’Alaska e al Cile, troviamo vulcani attivi. Questi vulcani non solo eruttano lava, ma creano le condizioni per la formazione di depositi d’oro”.
Qual è il rapporto tra oro e zolfo?
Ma nel concreto, come si lega l’oro, metallo simbolo di ricchezza, a un elemento come lo zolfo? La risposta si nasconde nelle profondità della Terra, dove temperature estreme e pressioni immense trasformano la materia.
Nelle zone di subduzione, la placca in movimento trascina con sé ioni trisolfuro, che vengono poi rilasciati nel mantello. È qui che avviene la magia geologica: lo zolfo si lega all’oro, creando un complesso molecolare capace di muoversi con facilità nel magma. Questo “trasportatore” naturale spinge il metallo prezioso verso la superficie, fino a depositarlo in aree ricche di vulcani.
Per dimostrare questo processo, i ricercatori hanno replicato in laboratorio le condizioni estreme delle zone di subduzione. I risultati ottenuti hanno fornito una comprensione dettagliata dei meccanismi chimici e fisici alla base della formazione di depositi auriferi.
La scoperta è importantissima. Questa rappresenta infatti una bussola determinante per l’industria mineraria. Grazie a questi dati, si potranno pianificare esplorazioni mirate. “Combinando questi risultati con le ricerche esistenti – sottolinea Simon – possiamo migliorare significativamente la comprensione di come si formano i depositi di oro”.
Un viaggio, quello dell’oro, che parte dunque dal cuore della Terra. E che trova la sua destinazione guidato da processi che sembrano rispondere a un’antica alchimia naturale, seppur rimasta sconosciuta fino a oggi.