Coloro che si trovano al posto di guida dovranno verificare che i passeggeri abbiano le cinture allacciate, lo obbliga una sentenza della Cassazione
L’importanza della cintura di sicurezza in macchina non ha bisogno di particolari introduzioni o spiegazioni, questo dovrebbe essere ormai chiaro da tempo. Si tratta di uno strumento che, per quanto banale, salva la vita ogni giorno a milioni di persone. Eppure, nella convenzione comune sono soliti inserirla solo coloro che si trovano ai posti davanti.
In qualche modo le stesse vetture non incentivano i passeggeri che si trovano nei sedili posteriori a metterle, dal momento che quando si accende la spia il fastidioso allarme che risuona fa riferimento, la maggior parte delle volte, solo al conducente e a chi siede al suo fianco.
Eppure, chi sceglie di ‘mettersi dietro’ non è sicuramente meno a rischio di chi è davanti. Una frenata brusca o, nei casi più estremi, un incidente possono catapultare il passeggero a metri di distanza se non ha niente che lo freni o ostruisca l’effetto catapulta che si crea.
In questo senso, bisogna responsabilizzare di più il cittadino, nella speranza che diventi abitudine comune anche l’uso della cintura per i passeggeri che si mettono alle spalle del guidatore, per la loro incolumità. In qualche modo a questo può aiutare una sentenza della Corte di Cassazione che mette tutto tra le mani di chi è al posto di guida.
La sentenza fa riferimento a un incidente avvenuto il 31 dicembre del 2015. Negli scorsi giorni la Cassazione ha deciso di annullare l’assoluzione di Letizia D., una ventinovenne originaria di Alatri, accusata di omicidio colposo perché, finita fuori strada con la macchina per evitare un cane randagio, ha fatto un incidente che è costato la vita a un suo amico.
Gianmarco Ruspantini era un ragazzo di appena 18 anni e si trovava sul sedile posteriore di sinistra, senza la cintura di sicurezza allacciata. Morto sul colpo, il suo corpo venne trovato per metà sotto la vettura. Le due ragazze in macchina, tra cui Letizia, vennero trasportate in ospedale in codice rosso ma si salvarono.
Accusata di omicidio colposo, perché la cintura avrebbe potuto salvare il ragazzo, il 6 marzo del 2024 il Tribunale di Frosinone l’aveva assolta perché: “non era dotata di sistemi acustici atti a segnalare il mancato utilizzo delle cinture e, in ogni caso, non era esigibile che la conducente potesse compiere, durante la marcia, una continua verifica in tal senso”.
Il ricorso della Procura generale, però, ha avuto la meglio. La Corte di Cassazione negli scorsi giorni si è espressa condannando Letizia di omicidio colposo perché: “né risponde chi, prima di intraprendere la marcia del veicolo con passeggeri a bordo, non esige che costoro indossino la cintura di sicurezza, verificando che lo facciano e in caso di renitenza, rifiuti il trasporto, continuando a verificarlo durante la marcia, anche con l’aiuto degli altri passeggeri trasportati, interpellando direttamente il passeggero”.
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