Anni di proteste e di passi avanti nei diritti umanitari, gettati alle ortiche da una nuova legge: “Un passo indietro vergognoso”
Il rischio di un clamoroso passo indietro e di un ritorno ad una legge disumana, bandita ormai da quasi dieci anni, è purtroppo dietro l’angolo. Il mondo intero guarda con orrore a ciò che sta accadendo in Gambia, dove il consiglio Islamico Supremo ha deciso di ripristinare un’usanza barbarica, contestata da tutto il mondo e che ha portato a polemiche infinite.
Dal 2015 lo stato africano aveva istituito il divieto di praticare le mutilazioni genitali femminili: una pratica vergognosa che aveva caratterizzato il Paese nei decenni precedenti. L’Onu si era mosso in prima persona per condannarne la brutalità. Mutilazioni che hanno prodotto negli anni seri danni alla salute psichica, fisica e sessuale in adolescenti e donne di ogni età. Una pratica che per anni è stata portata avanti per ripristinare la cultura pronta a “sostenere la purezza religiosa e proteggere le norme e i valori culturali”. Il Consiglio Islamico Supremo del Paese aveva pubblicato una nota: “Allah ha ordinato la circoncisione delle donne”, per spiegare la volontà di abolire il divieto di di praticare le mutilazioni femminili.
Il taglio totale o parziale del clitoride alle bambine o alle adolescenti, è stato effettuato nel corso di decenni e, secondo studi recenti dell’Onu, riguarderà oltre 4,6 milioni di persone entro il 2030. Le Nazioni Unite hanno confermato che negli anni tre donne su quattro, di età compresa tra 14 e 49 anni hanno subito mutilazioni genitali femminili in Gambia. Le organizzazioni umanitarie hanno sollevato il timore che ora altri paesi possano seguire l’esempio. In Patria i legislatori stanno cercando con tutte le loro forze di evitare il tentativo di abrogazione della legge. Gli attivisti gambiani temono che un’abrogazione possa annullare anni di lavoro per proteggere meglio le ragazze e le donne. La legislazione è stata rinviata a un comitato nazionale per ulteriori discussioni e potrebbe tornare al voto nelle settimane e nei mesi a venire. Gli attivisti del Paese, in gran parte musulmano, avevano avvertito che l’abrogazione del divieto avrebbe danneggiato anni di lavoro contro una procedura spesso eseguita su bambine di età inferiore ai 5 anni nell’errata convinzione di controllarne la sessualità. La procedura, chiamata anche mutilazione genitale femminile, prevede l’asportazione parziale o totale dei genitali esterni, spesso da parte di operatori tradizionali della comunità con strumenti come lame di rasoio o talvolta da operatori sanitari. Può causare gravi emorragie, morte e complicazioni al parto, ma rimane una pratica diffusa in alcune parti dell’Africa.
Jaha Dukureh, fondatrice di Safe Hands for Girls, un gruppo locale che mira a porre fine a questa pratica, ha dichiarato all’Associated Press di temere che altre leggi che tutelano i diritti delle donne possano essere abrogate successivamente. Dukureh ha subito sulla propria pelle le barbarie di questa procedura. E’ stata sottoposta, da adolescente, alle mutilazioni ed ha perso una sorella, morta dissanguata dopo essere stata costretta a subire lo stesso trattamento: “Se riusciranno ad abrogare questa legge, sappiamo che potrebbero arrivare alla legge sul matrimonio infantile e persino a quella sulla violenza domestica. Non si tratta di religione, ma del ciclo di controllo delle donne e dei loro corpi”, ha dichiarato l’autrice. Le Nazioni Unite hanno stimato che in Gambia più della metà delle donne e delle ragazze di età compresa tra i 15 e i 49 anni si sono sottoposte alla procedura. La proposta di legge è sostenuta dai conservatori religiosi del Paese, che conta meno di 3 milioni di abitanti. Nel suo testo si legge che “mira a sostenere la purezza religiosa e a salvaguardare le norme e i valori culturali”.
Il massimo organo islamico del Paese ha definito la pratica “una delle virtù dell’Islam”. L’ex leader del Gambia, Yahya Jammeh, ha vietato la pratica nel 2015 con una sorpresa per gli attivisti e senza alcuna spiegazione pubblica. Da quando la legge è entrata in vigore, l’applicazione è stata debole, con solo due casi perseguiti. Lunedì, una folla di uomini e donne si è radunata fuori dal Parlamento del Gambia, alcuni portando cartelli di protesta contro la legge. La polizia in tenuta antisommossa li ha trattenuti. Il parlamento del Gambia, composto da 58 deputati, comprende cinque donne. Se la legge passerà in Parlamento, il Presidente Adama Barrow dovrebbe firmarla. Egli non ha parlato pubblicamente della legge. Gli Stati Uniti hanno sostenuto gli attivisti che cercano di fermare questa pratica. All’inizio del mese, alla Casa Bianca, hanno premiato l’attivista gambiana Fatou Baldeh con l’International Women of Courage Award. L’Ambasciata degli Stati Uniti in Gambia ha rifiutato di dire se qualche funzionario americano di alto livello a Washington abbia contattato i leader gambiani in merito alla legge. Nella sua dichiarazione inviata via e-mail, Geeta Rao Gupta, il principale inviato degli Stati Uniti per le questioni femminili globali, ha definito “incredibilmente importante” ascoltare le voci di sopravvissuti come Baldeh. La presidente del Centro locale per i diritti e la leadership delle donne, Fatou Jagne Senghore, ha dichiarato che la legge “mira a limitare i diritti delle donne e a invertire i pochi progressi fatti negli ultimi anni”.
La presidente dell’Associazione locale delle donne, Anna Njie, ha affermato che la pratica “è stata dimostrata come causa di danni attraverso prove mediche”. L’UNICEF ha dichiarato all’inizio di questo mese che circa 30 milioni di donne a livello globale sono state sottoposte al taglio dei genitali femminili negli ultimi otto anni, la maggior parte delle quali in Africa, ma alcune anche in Asia e in Medio Oriente. Secondo uno studio della Banca Mondiale, citato quest’anno da un’analisi del Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione e pubblicato all’inizio dell’anno, in più di 80 Paesi esistono leggi che vietano la procedura o che permettono di perseguirla. Tra questi ci sono Sudafrica, Iran, India ed Etiopia. “Nessun testo religioso promuove o condona la mutilazione genitale femminile”, si legge nel rapporto dell’UNFPA, aggiungendo che non vi è alcun beneficio. Le ragazze vengono sottoposte alla procedura in età che va dall’infanzia all’adolescenza. A lungo termine, può portare a infezioni del tratto urinario, problemi mestruali, dolore, diminuzione della soddisfazione sessuale e complicazioni del parto, oltre a depressione, bassa autostima e disturbo da stress post-traumatico.
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