Dopo 40 anni dietro le sbarre, torna libero il leggendario boss del narcotraffico messicano, Don Neto. Il suo nome è famosissimo.
Ernesto Fonseca Carrillo, conosciuto come “Don Neto”, è tornato in libertà a 94 anni dopo aver trascorso quattro decenni in carcere. Fondatore del temibile Cartello di Guadalajara, è stato una delle figure più influenti del narcotraffico messicano negli anni ’70 e ’80.

Coinvolto nel brutale omicidio dell’agente della DEA Kiki Camarena, è stato uno dei primi boss della droga ad aver trasformato il narcotraffico in un sistema industriale e transnazionale. La sua scarcerazione apre ora nuovi interrogativi sul passato e sul futuro dei cartelli messicani.
Don Neto: Il fondatore del Cartello di Guadalajara e il delitto che scosse gli USA
Fonseca Carrillo è stato uno dei tre fondatori del Cartello di Guadalajara, insieme a Miguel Ángel Félix Gallardo e Rafael Caro Quintero. Negli anni ’80, questa organizzazione è stata la prima a unificare i traffici di marijuana e cocaina su scala nazionale, creando un impero criminale capace di muovere miliardi di dollari e di corrompere interi apparati dello Stato messicano. Il cartello fu il seme da cui germogliarono molte delle organizzazioni più violente del narcotraffico moderno, come il Cartello di Sinaloa.

Ma il nome di Don Neto è legato anche a uno degli episodi più scioccanti della storia della lotta al narcotraffico: il rapimento, la tortura e l’omicidio di Enrique “Kiki” Camarena, agente sotto copertura della DEA. Camarena stava lavorando all’interno del cartello, infiltrandosi per raccogliere prove e smantellarne i traffici. La sua attività, però, fu scoperta. Fonseca e gli altri capi ordinarono il sequestro dell’agente, che fu torturato per giorni e infine ucciso nel 1985.
Quel delitto segnò una rottura diplomatica tra Messico e Stati Uniti, e diede inizio a una massiccia controffensiva americana contro i narcos. Fonseca fu arrestato poco dopo e condannato a 40 anni di carcere. Oggi, la sua uscita di scena, sebbene segnata dall’età avanzata, riaccende il dibattito sul peso simbolico dei grandi boss storici nella narrazione del narcotraffico contemporaneo.