Gli studi dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, hanno portato ad una conclusione: una sostanza chimica è stata classificata ufficialmente come “cancerogena per l’uomo”. Ecco di cosa si tratta
Esistono delle sostanze chimiche che vengono ormai definite “eterne”: si trovano in grandi quantità e il nostro corpo si trova ad affrontarle quotidianamente. Si possono trovare nelle pentole antiaderenti, negli indumenti, in molti tipi di scarpe impermeabili, fino ad alcuni imballaggi alimentari, pesticidi e acque del rubinetto. Grazie alla loro resistenza, sono in grado di non decomporsi e di resistere ai mutamenti delle condizioni esterne ed atmosferiche. Il nostro organismo ne viene a contatto con regolarità, e possono portare danni ingenti alla nostra salute.
Secondo l‘European Environment Agengy, le cosiddette «sostanze chimiche permanenti», (le PFAS, sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate) possono “avere effetti negativi sulla salute come danni al fegato, malattie della tiroide, obesità, problemi di fertilità e cancro”. Ce ne sono oltre 4700 e vengono utilizzate ampiamente, tanto da accumularsi negli esseri umani e nell’ambiente circostante. Vengono definite sostanze permanenti perchè sono estremamente persistenti nel nostro ambiente e organismo.
Si tratta a tutti gli effetti di sostanze invisibili e onnipresenti e la scienza le ha collegate ad una vasta gamma di gravi effetti sulla salute, chiedendo a gran voce di limitarne l’utilizzo. Gli studiosi stanno cercando di ampliare le proprie indagini, per capire quali di queste sostanze siano più dannose (al momento la concentrazione è molto alta su possibili effetti legati alla formazione di alcuni tipi di cancro) e tentando di decodificare al 100% il loro impatto più ampio sulla salute.
Le sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche (PFAS) sono sostanze chimiche sintetiche sviluppate per la prima volta negli anni ’40 per resistere al calore intenso e respingere acqua e grasso. Da quel momento, fino ad oggi, sono stati utilizzati in una vasta gamma di prodotti per la casa e industriali, tra cui imballaggi alimentari, trucchi, tessuti antimacchia, pentole e padelle antiaderenti e schiuma utilizzata per combattere gli incendi. Grazie alla loro caratteristica, i PFAS impiegano molto tempo per decomporsi. Particolare che ha portato qualcuno a definirle come “sostanze chimiche eterne”. Il loro massiccio utilizzo le ha fatte infiltrare nel suolo e nelle acque sotterranee. Il nostro organismo ne è venuto quindi a contatto in modo diretto: abbiamo assunto queste sostanze bevendo acqua e assumendo alcuni cibi. Si tratta quindi di sostanze onnipresenti: sulla faccia della Terra si trovano ovunque. “Purtroppo possono penetrare nelle acque sotterranee – ha spiegato recentemente il professor Emilio Benfenati responsabile del Dipartimento di Ambiente e Salute dell’IRCCS Mario Negri di Milano. – se non ben gestiti durante i processi di lavorazione industriale, finendo per accumularsi anche nelle piante. Il rischio di ingresso nella catena alimentare, dunque, aumenta, assorbiti dal sangue con conseguenze che sono tuttora oggetto di numerosi studi scientifici per il loro impatto sulla salute”.
Esistono due composti PFAS studiati e rilevati in molti Paesi, che sono stati già vietati. L’acido perfluoroottanoico (PFOA), che una volta veniva utilizzato per realizzare il rivestimento antiaderente delle pentole in teflon, è stato classificato a dicembre come “cancerogeno per l’uomo” dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC). L’agenzia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha affermato che ci sono “prove sufficienti” che il PFOA abbia dato agli animali il cancro durante gli esperimenti, così come “prove limitate” di cancro alle cellule renali e ai testicoli negli esseri umani.
Un altro componente al vaglio del comparto medico e sul quale esistono numerosi dubbi, è l’acido perfluorottano solfonico (PFOS), che è stato giudicato “possibilmente cancerogeno per l’uomo”. Gli studi dell’IARC hanno confermato l’esistenza di prove limitate di cancro negli animali, ma “prove inadeguate per quanto riguarda il cancro negli esseri umani”. Il PFOS (perfluorottano solfonato) e l’acido perfluoroottanoico sono composti fluorurati, utilizzati come rivestimenti resistenti all’acqua, all’olio e alle macchie in tessuti, pelle e tappeti e rivestimenti resistenti all’olio per prodotti di carta destinati al contatto con gli alimenti, nonché come rivestimenti emulsionante fotografico, fluidi idraulici per l’aviazione e schiume antincendio .
Qualche anno fa l’ EPA (Agenzia per la protezione ambientale statunitense) ha confermato che i dati oggi disponibili suggeriscono un possibile legame causale tra PFOA, PFOS e cancro. Più di recente, tenendo conto degli studi epidemiologici e di quelli tossicologici effettuati negli animali, l’EPA ha proposto di indicare il PFOA come “probabilmente cancerogeno”. Nel 2021 l’ACGIH (American Conference of Governmental Industrial Hygienists) ha rilasciato un documento aggiornato sul profilo delle sostanze perfluoroalchiliche. Poco prima gli autori di uno studio pubblicato sulla rivista International Journal of Environmental Research and Public Health hanno confermato che “molte PFAS hanno attività simile a quella di carcinogeni già noti. Portano a stress ossidativo e soppressione delle funzioni del sistema immunitario, e possono inoltre influenzare la proliferazione delle cellule e indurre modifiche epigenetiche del DNA, che non cambiano la struttura dell’acido nucleico ma possono modificarne l’espressione”.
Gli studi effettuati hanno suggerito che l’esposizione alle sostanze chimiche PFAS è associata a un aumento del tasso di cancro, obesità, malattie della tiroide, del fegato e dei reni, colesterolo più alto, basso peso alla nascita, infertilità e persino una minore risposta ai vaccini. Una delle grandi critiche a queste ricerche è dettata dal fatto che queste ricerche non possono dimostrare che le sostanze chimiche causino direttamente questi problemi di salute. E il livello di rischio può variare notevolmente a seconda del livello di PFAS a cui le persone sono esposte: si ritiene che quasi tutti sulla Terra abbiano almeno un po’ di PFAS nei loro corpi. Secondo l’IARC, le persone più a rischio di esposizione grave ai PFAS sono le persone che lavorano direttamente con le sostanze chimiche durante la realizzazione dei prodotti. Che tipo di esposizione ai PFAS
Il livello esatto di esposizione ai PFAS pericoloso per la salute è stato oggetto di dibattito. Secondo alcune linee guida si evidenziava che averne una quantità inferiore ai 100 nanogrammi per litro di acqua nel rubinetto, era sufficiente per proteggere la salute. Ma gli Stati Uniti hanno proposto di abbassare il limite a quattro nanogrammi di PFOA e PFOS per litro e l’UE sta valutando di seguire l’esempio. Secondo un indagine, i livelli di PFAS superiori a 100 nanogrammi per litro sono stati riscontrati in 2100 siti in Europa e nel Regno Unito. In almeno 300 i livelli erano addirittura di 10.000 nanogrammi.
A preoccupare maggiormente il comparto medico, è la consapevolezza che nuovi composti siano ancora in fase di sviluppo. Secondo gli esperti alcuni produttori alimentari, eliminano i composti giudicati potenzialmente pericolosi, ma li sostituiscono con altri che fanno parte della stessa famiglia PFAS e sui quali gli studi non sono stati approfonditi. Elementi che non vengono considerati potenzialmente pericolosi, ma solo perchè ancora poco conosciuti e non classificati. Gli ambientalisti e gli esperti di salute di tutto il mondo hanno lanciato sempre più spesso l’allarme sulle sostanze chimiche in grado di resistere per anni. Anche il mondo politico si è interessato alla questione. In Francia, ad esempio, un deputato (Nicolas Thierry) presenterà la prossima settimana un disegno di legge che, se approvato, vieterebbe i PFAS non essenziali nel territorio transalpino, a partire dal 2025. L’Unione europea sta anche valutando la possibilità di vietare i PFAS a livello europeo già a partire dal 2026.
Impossibile, per la stragrande maggioranza delle persone, evitare il consumo ed il contatto diretto con piccole o grandi quantità di PFAS. Alcuni esperti hanno raccomandato di ridurre il contatto con pentole antiaderenti e imballaggi alimentari a prova di grasso come gli involucri dei fast food. Anche bere acqua filtrata o in bottiglia e conservare gli avanzi in contenitori di vetro, non di plastica, potrebbe aiutare. “Non farsi prendere dal panico, però, è fondamentale: non c’è una situazione di emergenza tale per cui sia necessario non mangiare determinati alimenti o non indossare scarpe o indumenti impermeabili. Anche l’acqua del rubinetto si può bere tranquillamente perché è controllata mediante procedure molto serrate. Tuttavia, bisogna intervenire oggi per limitare i danni futuri ad ambiente e salute, prendendo decisioni lungimiranti che coinvolgano non solo la politica, ma anche l’industria”, conferma il professor Emilio Benfenati responsabile del Dipartimento di Ambiente e Salute dell’IRCCS Mario Negri di Milano.
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