Dalle tavolate di Bersani alla polenta di Bossi: come la politica italiana porta in campo le idee in cucina come manifesti.
Che il cibo sia da sempre politica, e la politica da sempre anche un po’ uno show, è chiaro a tutti. Ma quando tra una polenta e una cicoria spuntano dichiarazioni accese e sfide a colpi di salumi, allora la faccenda si fa ancora più gustosa – letteralmente.
L’ultima puntata di questa telenovela all’italiana arriva dall’ex segretario Pierluigi Bersani, immortalato a tavola in un’immagine che pare una risposta culinaria a Giorgia Meloni. La premier aveva infatti lanciato il guanto di sfida con una battuta tagliente sulla “sinistra al caviale”, rivendicando che la destra sa difendere meglio i lavoratori. E Bersani, senza troppi fronzoli, ha dato il suo contributo a questo nuovo format tutto italiano: il “Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei”.
Ma la politica che si fa cucina non è certo un’invenzione recente. Era il 2019 quando Matteo Salvini, all’alba dell’inchiesta Open Arms, decideva di farsi riprendere con un panino in salumeria. “Se mi devono condannare alla galera, mettetemi qua” disse, come a far intendere che nulla, nemmeno i guai giudiziari, possono spaventare un uomo che sa apprezzare un buon salame. In fondo, cosa c’è di più patriottico di un salame o di un piatto di polenta?
E a proposito di polenta: se parliamo di piatti iconici, Umberto Bossi non può mancare nel menu della storia politica a base di ricette popolari. Polenta e trippa, per lui e per il sodale Alemanno, erano quasi dichiarazioni di appartenenza, un manifesto “rustico” contro i presunti lussi delle élite. Un’accoppiata forte, simbolo del radicamento territoriale, della lotta contro il “palazzo”.
Passando alla cicoria, ci sono personaggi che l’hanno scelta come marchio di fabbrica. Francesco Rutelli, ad esempio, ha rivendicato per anni il suo “pane e cicoria”, simbolo di una sinistra umile, autentica, lontana dagli eccessi. Una tradizione quasi ascetica, che si oppone all’opulenza della destra dallo stomaco di ferro. Non meno convinto Emanuele Macaluso, che alla retorica culinaria applicava il pragmatismo di chi sa che, in fondo, i momenti convivali devono rispettare regole ben precise: “Non si mangia mai dove si dorme e non si beve il caffè dove si mangia” – tanto per sottolineare che la politica, come la tavola, ha il suo rigore.
E così, tra un’abbuffata e un altro post a tema culinario, la politica italiana si diverte a mettere in scena se stessa attraverso il cibo. Pane, polenta, cicoria, salami e caviale: ogni pietanza diventa un modo per affermare la propria identità, per richiamare valori e promesse, per stuzzicare l’avversario. Insomma, siamo passati dalla questione sociale alla questione alimentare, ma con lo stesso piglio polemico.
La domanda, allora, è lecita: chi porterà a tavola la prossima portata? In attesa, lasciamo spazio all’immaginazione e allo stomaco, pronti ad assaporare le prossime pietanze politiche.
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