Pesante denuncia di un’esperta in psicologia dopo anni di lavoro nel gruppo Meta: accusa di negligenza verso le vite umane
Da tempo i social network non sono più solo un mezzo di contatto o condivisione, ma di profitto. Tanto per chi li vive quotidianamente, ma soprattutto per chi li controlla. Si sono trasformati in un’enorme occasione di guadagno, talvolta anche sulla vita delle persone. Preoccupante in questo senso è la testimonianza di Lotte Rubæk. Una psicologa che ha fatto parte del gruppo di esperti globale di Meta (impresa statunitense che gestisce i servizi di rete sociale Facebook e Instagram) per più di tre anni. La donna in una recente intervista ai microfoni del The Guardian, ha fatto sapere di aver abbandonato il progetto per motivi morali ed etici.
Nel corso del suo periodo lavorativo per l’azienda americana, infatti, si è imbattuta spesso in decisioni per lei incomprensibili. Scelte che in alcune occasioni hanno messo avanti il denaro alle difficoltà degli utenti. Punti di vista – se così possiamo chiamarli – in cui l’esperta in psicologia non si è mai rivista e che l’hanno spinta a voltargli le spalle. Allontanatasi da quell’ambiente, la Rubæk non si è accontentata e ha deciso di denunciare pubblicamente tutto ciò che di macabro si nasconde dietro quel mondo.
L’affermazione più grave è quella della mancata preoccupazione nei confronti del benessere e della sicurezza degli utenti: “L’azienda utilizza contenuti dannosi per tenere i giovani vulnerabili incollati ai loro schermi per il bene dei profitti” – spiega, prima di aggiungere – “e non c’è alcuna volontà di cambiare la situazione“. Eppure, questi social forniscono la possibilità di segnalare quando qualcuno necessita di aiuti o pubblica materiale potenzialmente pericoloso. Ma anche in questo caso arriva la puntualizzazione: “Superficialmente sembra che a loro importi, hanno questi gruppi di esperti e così via, ma dietro le quinte c’è un altro programma con priorità più alte“.
Un particolar riferimento della Rubæk è ai fenomeni di autolesionismo. Tutto nasce dalla testimonianza di una sua ex paziente. Una ragazza che dopo aver segnalato un’immagine ha raccontato di averla vista sparire dal suo profilo, per poi scoperto che in realtà rimaneva visibile per tutti gli altri. Uno stratagemma assurdo, denunciato dalla psicologa: “Meta utilizza molti trucchi per aggirare la rimozione dei contenuti“. Una prova vene portata da lei stessa nel 2021, quando dopo aver segnalato una foto simile ha ricevuto una risposta da Instagram. In questa diceva che non c’erano abbastanza moderatori per analizzare l’immagine e che la foto sarebbe rimasta online.
Una replica che ha portato all’ennesima reazione dell’esperta: “L’intelligenza artificiale è così intelligente da trovare anche il capezzolo più piccolo in una foto. Ma quando si tratta di foto esplicite di autolesionismo che hanno dimostrato di ispirare gli altri a farsi del male, ha aggiunto, sembra essere una storia diversa“. A queste accusa ha provato a reagire anche un portavoce di Meta sostenendo che la società non è colpevole di negligenza: “Il suicidio e l’autolesionismo sono questioni complesse e le prendiamo incredibilmente sul serio. Abbiamo trascorso anni consultandoci con esperti di sicurezza, comprese le persone del nostro gruppo consultivo su questi argomenti e il loro feedback ci ha aiutato a continuare a compiere progressi significativi in questo settore“.
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