La clamorosa decisione riguardo i tatuaggi al lavoro scatena le polemiche: ecco nel dettaglio cosa è successo
Tatuarsi è una pratica sempre più diffusa nella società odierna. Una scelta che essendosi normalizzata sembrerebbe aver portato anche a un’apertura nei confronti delle persone che decidono di ‘marchiare a vita’ la loro pelle. Eppure, nel 2024 c’è ancora chi fa muro e decide di non accettarlo, come se il fatto di scrivere una frase o farsi un disegno sul proprio corpo fosse in qualche modo un limite. La scelta, però, è lecita e indiscutibile, almeno fino a quando non diventa un limite nei confronti di chi, invece, ha voluto prendere la strada opposta. Ancora oggi, infatti, esistono dei posti di lavoro che non aprono le loro porte alle persone tatuate.
Spesso, infatti, arrivano segnalazioni intorno a difficoltà e problemi in ambito lavorativo per ‘colpa’ dei tatuaggi. Spesso riguardano il settore dei trasporti, altre invece quello della polizia. Proprio in merito a quest’ultimo esempio, ai microfoni di Adnkronos/Labitalia si è espresso Felice Romano segretario generale del Siulp, il sindacato unitario dei lavoratori della polizia: “Ancora registriamo casi di questo tipo, anche se di meno rispetto al passato. Ad esempio, ci capitò il caso di due colleghe che dopo due anni di corso si sono viste respingere il reclutamento per un tatuaggio sulla punta delle dita del piede” – e in tal senso il sindacato – “Noi siamo assolutamente contrari al fatto che il tatuaggio sia un discrimine per non entrare in polizia. Per noi è una cosa anacronistica e discriminante“.
Sarebbe interessante comprendere come funzionano le cose a livello legislativo. Esistono delle leggi che vietano a chi è tatuato di trovare lavoro? A dare una risposta, ancora ai microfoni di Adnkronos/Labitalia è Francesco Rotondi, name partner LabLaw e consigliere esperto Cnel: “Nello specifico si deve evidenziare che non vi sono norme legislative, tranne casi particolari, che rendono impossibile il lavoro a chi è ‘tatuato'”. Ogni imprenditore è libero, però, di decidere per la propria attività, a patto che non si scada in discriminazioni, spiega sempre Rotondi che poi evidenzia il problema della discrepanza culturale tra generazioni.
Il suo punto di vista lo ha espresso anche Matilde Marandola, presidente nazionale Aidp: “La questione riguarda la conciliazione tra libertà individuale e standing professionale richiesto e, nonostante sia necessario bilanciare questi due elementi, non credo si debba ricadere nel 2024 in rigidità che potrebbero allontanare soprattutto i giovani dalle organizzazioni di lavoro. Credo che la libertà individuale sia un bene primario e che vada garantita, così come il rispetto della persona”. Interessante si rivela anche il punto di vista di chi, invece, i tatuaggi li fa. Questo è il caso di Marco Manzo, titolare del Tribal Tattoo Studio: “Chi vuole un tatuaggio deve prima pensare al lavoro dei sogni, in alcuni contesti lavorativi questo può rappresentare un limite. Cerco sempre di non avere i cosiddetti pentiti del tatuaggio e, quindi, quando vedo persone non troppo convinte oppure giovanissimi con il desiderio di tatuarsi in modo evidente consiglio sempre di farli sì, ma non in modo troppo visibile”.
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