Negli Stati Uniti partiti i primi test. Una paziente rivela: “La mia vita è cambiata. Avrei voluto conoscere prima questo trattamento”
Un metodo rivoluzionario per combattere la depressione. Un sistema che sta per essere sperimentato e che potrebbe aiutare milioni e milioni di persone, costrette ogni giorno a combattere contro un male oscuro. La scienza e la medicina stanno facendo passi avanti straordinari dal punto di vista della sperimentazione medica. Negli ultimi anni alcune delle malattie più subdole e dannose per i pazienti di tutto il mondo sono state affrontate e spesso sconfitte.
L’ultima, grande novità, riguarda la depressione, considerata in ambito medico come una delle principali cause di disabilità in tutto il mondo, in grado di condizionare l’ambito personale, familiare, lavorativo e sociale della persona che ne soffre. Nel peggiore dei casi, la depressione può portare al suicidio. Si ipotizza che nel mondo, circa 280 milioni di persone, soffrano di depressione. Solo in Italia, secondo i dati diffusi dalla Sip (La Società Italiana di Psichiatria), sono 7,5 milioni di persone (ovvero il 12,5% della popolazione) a soffrirne.
Uno studio che arriva dagli Stati Uniti è destinato a regalare una speranza concreta a numerose persone. E’ stato testato per la prima volta, un sistema che potrebbe rivoluzionare la lotta a questo male oscuro. Una donna ha sperimentato sulla sua pelle gli effetti positivi del trattamento rivoluzionario ed ha regalato una grande speranza ad altre milioni di persone: “Avevo provato di tutto – ha dichiarato – ma ora finalmente ho trovato dei benefici”. La sua storia arriva dal Mount Sinai West. La donna si chiama Emily Hollenbeck e da anni viveva con una profonda depressione ricorrente che lei paragonava a un buco nero, dove la gravità era così forte e gli arti così pesanti, che riusciva a malapena a muoversi. Sapeva che la malattia avrebbe potuto ucciderla.
Il metodo rivoluzionario: gli elettrodi nel cervello
Emily nel raccontare la sua storia usa i verbi al passato, segno di come senta di aver fatto dei passi in avanti straordinari nella lotta al suo male oscuro. Tutta la sua vita è stata caratterizzata dalla depressione. Entrambi i suoi genitori si sono suicidati. Dopo aver provato numerosi trattamenti, ha deciso di testare un metodo sperimentale e per certi versi estremo: si è fatta impiantare degli elettrodi nel cervello. I ricercatori sostengono che il trattamento – chiamato stimolazione cerebrale profonda o DBS – potrebbe aiutare molti dei circa 3 milioni di americani come lei affetti da depressione che resiste ad altri trattamenti. È approvato per patologie come il morbo di Parkinson e l’epilessia, e molti medici e pazienti sperano che presto diventi più ampiamente disponibile per la depressione. Il trattamento fornisce ai pazienti impulsi elettrici mirati, lavorando come una sorta di pacemaker per il cervello.
La scienza, come spesso accade in questi casi, si è divisa sul trattamento. Alcuni studiosi restano convinti che la stimolazione tramite elettrodi non porti alcun beneficio nella lotta alla depressione ed hanno fermato fermato i test. Altri invece sono convinti del contrario. Tra i fautori di questo metodo rivoluzionario, c’è la Food and Drug Administration, che ha accettato di accelerare la revisione della richiesta di Abbott Laboratories di utilizzare i suoi dispositivi DBS per la depressione resistente al trattamento. Quando ad Emily è stato chiesto se se la sentisse di provare a combattere la depressione sfruttando gli elettrodi, non ha avuto dubbi: “All’inizio sono rimasta sbalordita perché il concetto sembra così intenso. Si tratta di un’operazione al cervello. Hai dei fili inseriti nel cervello”, ha detto Hollenbeck. “Ma sentivo anche che a quel punto avevo provato di tutto ed ero alla disperata ricerca di una risposta”.
Hollenbeck ha sofferto di sintomi depressivi fin da bambina: la sua storia personale è stata costellata da momenti di forte sconforto: è cresciuta in condizioni di povertà e occasionalmente senza fissa dimora. Nel 2009 il suicidio del padre, al quale era particolarmente legata, l’ha devastata dal punto di visto psicologico, portandola a combattere il primo attacco di depressione. In quel momento era all’università. Una seconda crisi l’ha colpita durante l’orario di lavoro: Emily era diventata insegnante, ma nel bel mezzo di una lezione si è bloccata, divorata dall’ansia e dalla preoccupazione. “Alla fine ho avuto una specie di andamento altalenante”, ha detto. I farmaci la facevano stare bene per un pò, poi subentravano le ricadute. È riuscita a conseguire un dottorato in psicologia, anche dopo aver perso la madre durante l’ultimo anno di corso. Ma il buco nero tornava sempre ad attirarla.
Ha dichiarato di aver pensato spesso al suicidio e di aver esaurito tutte le opzioni, compresa la terapia elettroconvulsivante. Poi, un medico le ha parlato della DBS. “Non funzionava nient’altro”, ha detto. È diventata una delle poche centinaia di persone trattate con la DBS per la depressione. Hollenbeck è stata sottoposta all’intervento chirurgico al cervello in stato di sedazione ma sveglia. Il dottor Brian Kopell, che dirige il Centro di Neuromodulazione del Mount Sinai, ha posizionato sottili elettrodi metallici in una regione del cervello chiamata corteccia cingolata subcallosa, che regola il comportamento emotivo ed è coinvolta nei sentimenti di tristezza. Gli elettrodi sono collegati da un filo interno a un dispositivo posizionato sotto la pelle del petto, che controlla la quantità di stimolazione elettrica ed eroga impulsi costanti a basso voltaggio.
Un prozac continuo: “Ha sbloccato il mio circuito”
Hollenbeck lo chiama “Prozac continuo”. I medici sono convinti che la stimolazione sia utile perché l’elettricità parla il linguaggio del cervello. I neuroni comunicano utilizzando segnali elettrici e chimici. Nei cervelli normali, ha detto Kopell, l’attività elettrica si riverbera senza ostacoli in tutte le aree, in una sorta di danza. La DBS sembra “sbloccare il circuito”, ha detto, permettendo al cervello di fare ciò che farebbe normalmente. Hollenbeck ha detto che l’effetto è stato quasi immediato. “Il primo giorno dopo l’intervento, ha iniziato a sentire una diminuzione dell’umore negativo e della pesantezza”, ha detto il suo psichiatra, il dottor Martijn Figee. “Ricordo che mi disse che per la prima volta dopo anni era riuscita a gustare il cibo vietnamita da asporto e ad assaporarlo davvero. Ha iniziato a decorare la sua casa, che era rimasta completamente vuota da quando si era trasferita a New York”.
Per Hollenbeck, il cambiamento più profondo è stato ritrovare numerosi piaceri della vita che sembravano essere stati persi: su tutti la voglia di tornare ad ascoltare la musica. “Quando ero depressa, non riuscivo ad ascoltare la musica. Mi sembrava di ascoltare le interferenze della radio“, ha raccontato. “Poi, in un giorno di sole in estate, stavo camminando per strada ascoltando una canzone. Ho sentito questa spinta, questo ‘Oh, voglio camminare di più, voglio andare a fare delle cose! E mi sono resa conto che sto migliorando”. Il suo più grande cruccio è aver scoperto questa terapia troppo tardi. Avrebbe voluto che anche i suoi genitori fossero stati sottoposti allo stesso trattamento. I primi sperimenti risalgono una ventina di anni fa, quando la neurologa Helen Mayberg condusse le prime promettenti ricerche. Ma sono seguite delle battute d’arresto. Grandi studi avviati più di una dozzina di anni fa non hanno mostrato differenze significative nei tassi di risposta tra i gruppi trattati e quelli non trattati. La dottoressa Katherine Scangos, psichiatra dell’Università della California di San Francisco, anch’essa impegnata nella ricerca sulla DBS e sulla depressione, ha citato un paio di ragioni: Il trattamento non era personalizzato e i ricercatori hanno esaminato i risultati nell’arco di poche settimane. Alcune ricerche successive hanno dimostrato che i pazienti affetti da depressione hanno ottenuto un sollievo stabile e a lungo termine dalla DBS se osservati per anni.