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Cultura e Spettacolo

ACAB – La Serie, CityRumors.it intervista Panebianco: “Un successo personale” | Bersani svela un retroscena inedito con Mazinga

Sandro Bersani si racconta a CityRumors.it, l’attore romano – Panebianco in ACAB-La Serie – rivela alcuni retroscena del progetto.

ACAB – La Serie è su Netflix dal 15 gennaio. In appena 5 giorni ha conquistato il pubblico della piattaforma. Il prodotto è tratto dal libro di Carlo Bonini e liberamente ispirato al film di Stefano Sollima. Rispetto al contesto cinematografico troviamo soltanto Marco Giallini. Nel ruolo di Mazinga. Il resto del cast della serie è completamente rinnovato.

ACAB – La Serie, CityRumors.it intervista Panebianco: “Un successo personale” | Bersani svela un retroscena inedito con Mazinga (CityRumors.it)

Fra i personaggi di spicco troviamo Amerigo Panebianco. Autista del blindato che vive e convive insieme alla squadra che compone uno dei reparti della celere di Roma. Persone, fatti, realtà diverse che confluiscono nell’animo di oltre 10 persone. L’affiatamento, l’ira, le tensioni e i sentimenti che compongono una squadra di lavoro si scontrano – nel vero senso della parola – con la vita di ogni giorno. Questo e anche molto di più ha raccontato, in esclusiva, ai microfoni di CityRumors.it, Sandro Bersani.

ACAB – La Serie, Sandro Bersani racconta Panebianco

L’attore romano ha già lavorato nel mondo del cinema con diversi ruoli e l’universo dello streaming lo conosce bene grazie a una piccola ma importante parte ottenuta nella prima stagione di “Vita da Carlo”. Prima ancora dei lungometraggi e delle serie tv, Bersani si è fatto conoscere sul Web con alcuni prodotti di spicco come “Serie Romanista” in cui lavorava con Leonardo Bocci e Lorenzo Tiberia.

ACAB – La Serie, Sandro Bersani racconta Panebianco (CityRumors.it)

Dai primi monologhi in rete al red carpet di Venezia e ACAB – La Serie: Bersani non è ancora stanco di mettersi in gioco e cerca il ruolo, dopo Panebianco, che possa garantirgli un’ulteriore sfida. Nel frattempo fa l’autista all’interno di importanti case di produzione americana e non solo: “Driver”, come si usa dire, guida e sogna di vivere soltanto facendo l’attore. Sta cercando di trovare la propria strada con merito e occasioni, fra gli addetti ai lavori è già una conferma e il successo – anche social – di questa serie lo dimostra.

Il legame con il cast e le sfide di un ruolo inedito

6 episodi da 50 minuti in cui, anche Bersani, riesce a dire la sua con decisione e capacità. Il cast corale gli ha dato modo di conoscere tante persone importanti: ha legato con tutti e tutte, ma un posto speciale nel suo cuore (e in quello di tanti altri) è riservato a Marco Giallini. Proprio i retroscena con Mazinga – com’è conosciuto l’attore romano nella serie – hanno arricchito questo percorso definito come una “magia che non pensava di vivere”. Sandro Bersani fa i conti con qualche piccola grande soddisfazione aspettando altri motivi per emozionarsi.

Quali sensazioni hai vissuto su questo set così lungo e importante per te?

Finalmente ci siamo, come sempre c’è la voglia di dimostrare quanto e come si è entrati in un personaggio, ma poi bisogna fare i conti con l’attesa dell’uscita. Finalmente ACAB-La serie la stanno vedendo in moltissimi e io con tutto il cast non potevamo desiderare di meglio per quella che è stata, sicuramente, un’esperienza emotiva più che un semplice lavoro. Questo lo posso dire senza esitazione.

Il legame con il cast e le sfide di un ruolo inedito (CityRumors.it)

Tu all’interno della serie interpreti un ruolo molto particolare: com’è stato lavorare su Panebianco? Quale approccio hai avuto e che impostazione hai dato al registro emotivo di questo personaggio?

Amerigo Panebianco è l’autista del blindato ed è stato molto interessante lavorarci. Entrare nel personaggio in sé non l’ho trovato molto complicato, essendo molto simile a me su alcuni aspetti: romano, con una forte fisicità, un personaggio buono che ha qualche momento complesso. Come si dice: “Meglio non farlo arrabbiare” (ride ndr), però, per quanto mi riguarda il percorso è stato molto particolare. Immedesimarsi in un celerino, proprio sul piano del ruolo, ha richiesto un po’ di tempo: molto prezioso è il lavoro fatto con i consulenti prima del film. L’aspetto più coinvolgente, senza dubbio, è stato entrare nell’idea di reparto che hanno loro. Con tutto il cameratismo che ne deriva. Diciamo che tutto avrei pensato tranne di riuscire a identificarmi in un poliziotto. Fare l’attore richiede questo tipo di esigenza e, in parte, responsabilità per una serie che parla di tematiche attuali.

“Il concetto di squadra e reparto è legato all’alienazione e ai demoni di ciascuno”

Nella preparazione del film, su cosa ti sei concentrato? Rispetto alla figura del celerino si dice tutto e il contrario di tutto…

Il registro è assolutamente cinematografico. Va sul piccolo schermo, ma si sviluppa come un lungometraggio più ampio. È stato molto istruttivo calarsi in una realtà simile proprio per entrare nel meccanismo di quella che, volente o nolente, diventa una famiglia: chiunque ha vissuto ambiti in cui si deve fare gruppo e fronte comune qualsiasi cosa succeda sa che è sempre un’esperienza forte. La vera sfida, la vera esperienza, è stata addentrarsi nelle realtà di una squadra; di un reparto che diventa una sorta di famiglia con tutte le criticità e anche i “traumi” che comporta. Un rapporto così stretto con altre persone può arrivare anche a cambiare le tue concezioni più intime. Davvero stimolante è stato il proposito di prendere 10 attori e metterli insieme da perfetti sconosciuti. Anche noi ci siamo amalgamati in quello che è stato quasi un “esperimento antropologico”. È una serie che tratta il concetto di squadra legato all’alienazione e alla gestione dei propri demoni. A tutti gli effetti.

Il lato comune tra il tuo personaggio e questa situazione sono le tempistiche che avete trascorso in gruppo: avete girato molti luoghi in Italia, a fronte di questa altalena continua, quali sono stati i tuoi maggiori “demoni” da tenere a bada?

Io fondamentalmente sono un attore e ho delle esigenze, oltre che dei limiti. Per quanto mi riguarda è stata un’esperienza pazzesca. È stato il mio primo ruolo importante, avevo già lavorato in produzioni importanti, ma con ACAB ho avuto la possibilità di andare oltre. Il set è iniziato intorno a novembre 2023 ed è andato avanti fino ad aprile. Quindi siamo passati dal gelo totale della Val di Susa alla primavera che abbiamo trovato con l’andare delle settimane e i mesi. Si è trattato effettivamente di un ‘viaggio’ che in qualche modo ha attraversato tutti noi con momenti totalmente diversi. Il lavoro dell’attore – e lo dico con grande pudore – è basato sul concetto di immedesimazione e questo porta sicuramente dello stress. Personalmente ho vissuto questo set come una magia: ero nella mia ‘bolla’ con una grande emozione. Ho patito più la sindrome di fine set che altro. Sicuramente questo lungo viaggio che ho fatto con un personaggio di rilievo è stato complicato esclusivamente per la gestione delle aspettative. Arrivi sul set, ti immagini il personaggio in un modo piuttosto che in un altro e devi fare i conti con altre dinamiche e alcune sfumature complicate. Sia per Sandro che per Panebianco. La vera forza che abbiamo avuto sia stata quella della coesione del cast. Siamo diventati davvero una squadra anche nel combattere alcuni momenti di frustrazione. Un aspetto umano che ha prevalso ed è stato indimenticabile.

“È stata un’opportunità enorme, motivo di una profonda crescita personale”

Un bilancio di questa esperienza: cosa tieni e cosa lasci?

Il bilancio credo sia assolutamente positivo. Un’opportunità enorme, ringrazio tutti per aver avuto la possibilità di sedermi a un “tavolo” che fino a qualche anno fa non credevo di poter occupare. Diciamo che tengo il rapporto che si è creato con tutti gli attori, colleghi, ma anche con le maestranze. Posso dire, invece, che vorrei lasciare un pochino anche delle dinamiche che sono state di crescita: essendo io abituato ad andare come un trattore, farei a meno di alcune impazienze, delle frustrazioni, che in realtà andavano contestualizzate. Fa tutto parte di un percorso, di una crescita personale. Nel complesso dire che si tratti di un percorso quanto mai arricchente. Mi prendo tutto, me lo tengo e lo rifarei altre 100 volte.

Quanto ti è rimasto addosso di Panebianco dopo aver finito le riprese?

Per quanto mi riguarda è stato quasi consequenziale uscire dal personaggio: mi sono dovuto immergere in determinate realtà anche molto distanti da me, talvolta, detto ciò credo che la figura del celerino sia complessa e controversa. Sicuramente è stato interessante, onestamente però non è stato difficile distaccarmi da Panebianco. Anche se di lui conservo un grande ricordo.

“Un’opportunità enorme, motivo di profonda crescita personale” (CityRumors.it)

Com’è stato il ritorno alla vita di tutti i giorni?

Diciamo che, con grande orgoglio, posso affermare che quando non faccio l’attore sono un driver: rompiamo un po’ il cliché dell’attore cameriere (ride ndr). Lavorando per produzioni americane, ho avuto l’opportunità (oltre a fare l’autista) di partecipare con 4 pose in un progetto USA. Quindi se c’è stato un post-sbornia, diciamo così, è stato attenuato da questa bella situazione – ulteriore – che si è creata. Recitare con Blake Lively e Michele Morrone è stato un bell’incentivo. Ho avuto un’altra occasione molto importante. Tornare alla mia vita, subito dopo, è stato complesso e necessario ma non per supponenza. Proprio perché “spaccarti la schiena” in altro modo ti fa restare con i piedi per terra. È stato come chiudere un cerchio. Il sogno dell’attore posso coltivarlo solo grazie al mio lavoro di tutti i giorni, spero (presto) di riuscire a vivere soltanto attraverso l’attorialità.

“Spero che questa serie sia un buon viatico per il futuro”

Dopo ACAB – La serie hai ricevuto qualche altra telefonata? Una passerella come Netflix aiuta in termini di reputazione?

Al momento ancora nulla, ma tanta gente ha iniziato a guardare al mio operato con molta curiosità e interesse. Mi auguro che arrivando a un pubblico sempre maggiore riesca poi a emergere grazie alle poche, ma buone (ride ndr), qualità che ho. La speranza è che sia un viatico in grado di portare altre possibilità. Al momento ancora non lo so, ma mi auguro proprio di sì.

Potendo scegliere, a livello lavorativo, quale ruolo vorresti ottenere? Finora sei stato “protagonista” nella comfort zone del drama…

Fino a questo momento ho ottenuto tutti ruoli molto fisici piuttosto che di impatto, al netto della parentesi divertente con Carlo Verdone, mi piacerebbe riuscire ad avere una sfida anche più ampia. Vorrei incontrare un regista che mi chieda di perdere 30 chili, così sarebbe contenta anche mia madre (ride ndr). Uscire dalla propria comfort zone credo sia proprio nel DNA dell’attore. Io mi sento assolutamente pronto a farlo. Sono soddisfatto di come stanno andando le cose, ma ho anche tanta voglia di cimentarmi con altro. Mi augurerei di poter trovare un ruolo più intenso che si discosti un pochettino anche da quello che ho fatto finora.

In ACAB – La Serie quanto c’è del romanzo e quanto, invece, è ispirato al film di Sollima?

Questo è il “terzo livello” – se vogliamo chiamarlo così – di una trilogia particolare: si parte dal libro, si passa per il film e si giunge alla serie. Fondamentalmente non sono racconti contigui. Non si tratta di storie parallele o collegate. È una trilogia che riparte da un terzo capitolo. Richiama ad alcune dinamiche presenti nel libro. Può sembrare tutto uguale, ma in realtà ogni esperienza è diversa.

“Ci sono richiami al romanzo, ma non si tratta di racconti collegati”

Rispetto alla figura del celerino: vuoi smentire o rimarcare alcuni luoghi comuni sulla divisa dopo aver girato questa serie?

Senza ombra di dubbio credo che la Giustizia parta da chi deve garantirla. Quindi chi sbaglia, anche in divisa, deve pagare. Al netto di questo posso affermare di aver provato effettivamente la sensazione di adrenalina e alienazione che sente un celerino durante gli scontri. Merito degli stuntmen che hanno fatto un lavoro magistrale nelle scene girate in Val di Susa. Proprio per questa rigidità e alienazione, per determinati ruoli (sul lavoro) serve gente lucida e concentrata. Altrimenti, in quei contesti, è un attimo lasciarsi travolgere dall’istinto.

“Una regia su più livelli con un approccio visivo dettagliato”

Hai lavorato sia con Sollima che con Alhaique: che differenze ci sono e con chi ti sei trovato meglio?

Sì, ho lavorato con Stefano Sollima in “Adagio”, ma ho avuto un ruolo molto piccolo. Sono arrivato nell’ultimo giorno di set, quindi c’era un’atmosfera particolare. Quasi da fine anno scolastico, diciamo così, posso dire di averlo visto muoversi sul set e gestire determinate situazioni come un fuoriclasse, ma non lo conosco così bene. Di Michele, invece, posso affermare che è un vero professionista e il valore aggiunto è proprio l’approccio visivo che dà alle scene e il temperamento e l’evoluzione dei personaggi. Tutti quelli che vediamo su Netflix, compreso il mio, arrivano in maniera diversa rispetto a come sono partiti. Questa resa su più livelli è sicuramente un valore aggiunto.

È possibile avere un sequel di ACAB – La Serie? Come te lo immagini Panebianco?

Un progetto così forte, chiaramente, mi auguro possa avere un seguito. Se dovessero richiamarmi, senza dubbio, Panebianco è pronto sull’attenti a rispondere. Come me lo immagino? Sempre a guidare per cercare di trovare la quadra in mezzo a una vita senza soste. Per il resto per me questa serie resta un pezzo di cuore, veramente. Io sono appassionato di tatuaggi, avevo pensato di farmi ACAB in ricordo di questa esperienza, ma poi ho cambiato idea perché non tutti potrebbero pensare subito alla serie Netflix (ride ndr).

In chiusura: è vero che eri un po’ l’animatore del backstage, quello che animava le lunghe attese tra un ciak e l’altro?

Guarda, posso dire che quando mi sento a casa sono un compagnone. Il set di ACAB – La Serie è stato un po’ questo. I momenti divertenti sono stati tanti, non voglio fare torto a nessuno: ho legato con tutti, ci sentiamo spesso. È stato davvero emozionante. Come aneddoto posso raccontare delle scene divertenti con Marco Giallini che, veramente, è più divertente di chiunque quando ci si mette. Mi ha fatto talmente ridere che, una volta, ho dovuto pregarlo di cambiare registro: “Tu sei Marco Giallini, io sono Sandro Bersani: non posso ridere così forte, me cacciano”, gli ho detto. Soprattutto quando parafrasava alcuni momenti con la proverbiale goliardia che lo contraddistingue. Un altro momento divertente è stato quando, durante una nuova produzione, ho trovato alcuni di ACAB a lavorare: io non partecipavo attivamente, ma dovevo essere il loro autista. Allora è cominciato un tormentone: “Anvedi Panebianco ce porta sul set”.

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“Con Marco Giallini rapporto speciale: Romanismo e risate sul set”

Dunque, il tuo rapporto con Marco Giallini…

Ci vorrebbe un’altra intervista, io quando parlo di Marco mi brillano gli occhi. È veramente incredibile per il carisma che mostra ogni volta che si batte il ciak. Vedi la faccia che si trasforma e riesce a tirare fuori cose che fino a un attimo prima sembravano impossibili. Poi si ricorda i nomi di tutte le maestranze anche dopo aver fatto duecento film. Veramente un professionista incredibile con un’umiltà e una preparazione fuori dal comune.

“Con Marco Giallini rapporto speciale: Romanismo e risate sul set” (CityRumors.it)

Ci è arrivata voce che avete condiviso in quei giorni la passione per la Roma…

Posso dire senza dubbio che eravamo i più romanisti del set. Abbiamo avuto anche importanti scambi su diverse questioni (ride ndr). Era il periodo dell’avvicendamento Mourinho-De Rossi sulla panchina giallorossa e abbiamo condiviso emozioni di vario genere. Anche vedere le partite insieme è stato importante, malgrado lui abbia un rapporto molto particolare con la tecnologia (ride ndr).

“Questo successo è tutto per Gianluca Bombardone: sempre con noi”

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A chi dedichi questo successo?

Un’ultima parola voglio spenderla per Bomba (Gianluca Bombardone): questo operatore di macchina che ha lavorato con noi ed è venuto a mancare per un malore. Una persona davvero degna come approccio e modi di fare in questo modo che, a tratti, va sempre troppo di fretta. Aveva la capacità di farti sentire a tuo agio, una figura importantissima per tutti noi. Quello che ha fatto lo ricordiamo ancora tutte le volte che guardiamo un film o una serie. Questo successo è dedicato a lui. Un bacio fino al cielo.

Andrea Desideri

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