Alberto Manzi avrebbe compiuto 100 anni. Il suo genetliaco ricorda il contributo, televisivo e non solo, dato all’Italia.
Alberto Manzi, un secolo di possibilità. Si traduce così la vita dell’insegnante e intellettuale diventato un’icona grazie alla televisione italiana. Il suo programma “Non è mai troppo tardi” è senza tempo perchè rappresenta in pieno la concezione di servizio pubblico. Il format, infatti, insegnava a leggere e scrivere a moltissimi italiani. Una trasmissione iniziata nel 1960 e terminata nel 1968.
Utile, approfondita e imprescindibile per milioni di persone. I tempi erano quelli del boom economico, ma la realtà era molto diversa. Il Paese non era ancora riuscito a ricompattarsi, soprattutto emotivamente, dal dopoguerra. Le ferite aperte erano molte, proprio come i lati d’incompiutezza e smarrimento emotivo.
Senza contare l’analfabetizzazione: c’era molta voglia di rialzarsi, ma ancora tanta frammentarietà. Soprattutto nelle zone del sud Italia. In contemporanea la televisione, in opera dal ’54, aveva completamente cambiato la vita del Paese. Dapprima un accessorio per pochi, subito dopo (se parliamo di anni e stagioni) alla portata di tutti.
La nascita della televisione italiana ha unito un Paese anche nelle proprie differenze. C’erano zone in cui l’aria di ripartenza si respirava, mentre altre porzioni di territorio erano ancora lasciate a loro stesse. Manzi ha unito l’Italia cercando di dare una dimensione univoca alla didattica.
Il suo programma ha proseguito, in qualche maniera, l’opera iniziata da Mike Bongiorno e Vittorio Veltroni, colonna portante della Rai, padre dello scrittore e regista Walter, con “Arrivi e partenze”. Quella trasmissione dava un volto al Paese in movimento raccontandone le sfumature. In “Non è mai troppo tardi”, invece, le suggestioni erano altre.
Si guardava per imparare e nessuno era diverso o meno importante. L’impressione è che tutti fossero sulla stessa barca: chi non sapeva leggere e scrivere imparava. Chi, invece, le cose le sapeva già ripassava e acquisiva nuove nozioni. La trasmissione era diventata un vero e proprio fenomeno sociale rimettendo al centro l’importanza dello studio e della cultura.
Da questa esigenza, poi, nacquero programmi dalla natura didascalica come “Rischiatutto” o “Lascia o Raddoppia” dove si imparava divertendosi. Tornando a “Non è mai troppo tardi”, si può definire come segno dei tempi che stavano cambiando. Imparare fa bene alla mente e allo Share. Tutti restavano incollati davanti alla televisione, con Manzi si organizzavano vere e proprie visioni collettive di uno spettacolo sempre nuovo con la voglia di arricchire e sorprendere non solo dal punto di vista intellettuale.
Allo storico programma parteciparono anche volti noti del calibro di Aldo Fabrizi, Gino Bartali e Carlo Campanini. L’idea di Nazzareno Padellaro fu talmente innovativa da essere presa a modello anche successivamente. Di “metodo Manzi”, infatti, si parla ancora oggi: figlio della pedagogia di John Dewey e Lev Vygotskij, mirava a dare lustro e nuove opportunità alle classi più svantaggiate.
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Priorità che aveva imparato a coltivare negli anni in America Latina, dove alfabetizzava le popolazioni rurali dal ’55 in poi. Il motto di Manzi, rimasto ancora oggi nell’immaginario collettivo, era: “Soltanto l’istruzione potrà far sì che tutta l’umanità possa vivere meglio”. Se l’Italia di oggi e di ieri conosce il concetto di coscienza civile, in parte, è anche merito di Manzi che ha saputo plasmare l’intrattenimento a occasione di crescita e approfondimento didattico.
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