‘Di raso viola’ di Giuseppe Petti: intervista all’autore

Articolo a cura della giornalista pubblicista Ilaria Solazzo. ‘Di raso viola’ è il lavoro dello scrittore Giuseppe Petti, per Bertoni Editore, in vendita in tutti gli store online

“Un prete, un pensionato, un giornalista e un maresciallo dei carabinieri alle prese con un inaspettato fatto di cronaca che turba la quotidianità dell’immaginaria cittadina campana di Pignasecca. Sullo sfondo, un’intera comunità che non lesina giudizi sui possibili perché e percome dell’accaduto. Più di altri, ne restano impressionati taluni residenti, a proprio modo preoccupati degli sbocchi che può prendere la faccenda e dei contraccolpi che può loro procurare. Un rebus in bilico tra il sacro e il profano, che spinge gli interessati a ragionarci su e ad agire chi secondo coscienza e chi secondo convenienza. In gioco vi sono convinzioni radicate, debolezze inconfessate e sentimenti nascosti; affetti traballanti, fortune da cavalcare e sfortune da scansare; voglie insoddisfatte di cambiamento: tutte facce dei tormenti in cui essi si dimenano, portati a spasso mascherati da un abbozzo di sorriso stampato sulla bocca. Chi, tra costoro, sarà capace di venirne a capo? Chi ci riuscirà per davvero?”, con questo riassunto viene presentato ai lettori “Di raso viola”, di Giuseppe Petti sul sito ufficiale della Bertoni Editore. Il libro è in vendita in tutti gli store online a 17euro.

Giuseppe Petti
‘Di raso viola’ di Giuseppe Petti – Cityrumors.it

In questa storia, che si lascia leggere con scorrevolezza, nulla è come sembra. Lo scorrere della narrazione evidenzia uno spaccato di vita realistico ottimamente narrato, grazie a un susseguirsi di avvenimenti e scoperte che invogliano a proseguire, a sapere cosa sta per accadere.

La storia, splendidamente narrata dall’autore – dotato di una ricca fantasia e abile a tradurla in prosa letteraria – è un intreccio di storie che riflettono l’anima pulsante di un paese, immaginario solo sulla carta. Per la verità, la numerosa eppur singolare umanità rappresentata e i suoi sentimenti, le sue passioni, i sofferti segreti, le evidenti contraddizioni, potrebbe ben dar vita alle nostre realtà quotidiane di paese, città o quartiere di metropoli. Un cliché mai banale, che sollecita il cuore e stuzzica la mente. Filo conduttore del romanzo sono, a mio avviso, i tre volti dell’amore: eros, agape e philia: in parte shakerati e in parte tratteggiati singolarmente nelle voci e nelle riflessioni dei protagonisti, che agiscono “chi secondo coscienza e chi secondo convenienza”, come ben indicato nelle brevi note della seconda di copertina. La vicenda incresciosa dalla quale si sviluppa tutto il libro, apre a una visione caleidoscopica di relazioni che, a volte, travalicano i sensi per giungere nell’ambito trascendentale. Il tutto con ironia e stile accattivante. Che dire: a me è piaciuto!

Giuseppe Petti
‘Di raso viola’ di Giuseppe Petti – Cityrumors.it

 

Qual è stata l’ispirazione dietro “Di raso viola”?
“Questo mio secondo romanzo è parte di un preciso progetto di scrittura narrativa: indagare, secondo il mio apprezzamento e col sorriso sulla bocca, le principali cause ed i relativi effetti delle troppe solitudini da cui mi sento circondato. Questione per me paradossale e difficile da credere dati i tempi che corrono,
pieni di occasioni di aggregazione, condivisione e confronto, di persona e no. Un percorso iniziato con “Tango di famiglia”, opera d’esordio letterario pubblicata da Bertoni Editore nel 2019 e che conto di concludere a breve con un ulteriore racconto. Ho ideato, costruito e ambientato le storie in immaginarie cittadine di provincia campane, tutte bagnate dal mare, in omaggio alla mia terra d’origine. Adoro le città di provincia, perché ho vissuto in oltre venti per motivi di lavoro. Le considero il sale della nostra meravigliosa nazione, là dove il tempo scorre più lentamente, tra tante curiose contraddizioni, sempre in bilico tra modernità e tradizione. Perciò, è la vita di provincia a ispirarmi, le sue cadenze, i suoi costumi, i suoi colori”.

Come mai hai scelto il genere ‘romanzo’ come forma espressiva? “Credo si tratti di inclinazione naturale. Ricordo che da ragazzo restai a lungo affascinato dalla lettura di edizioni ridotte di “Ventimila leghe sotto i mari”, “Robinson Crusoe” e “L’isola del tesoro”, tanto che nei giorni e settimane seguenti presi carta e penna per provare a inventare storielle fantastiche. Da adolescente sognatore ai tasti di una Olivetti Lettera 32 – unregalo del nonno materno – scrivevo racconti e testi per canzoni che poi leggevo agli amici del cuore, materiale in seguito smarrito lungo uno dei miei tanti spostamenti. La fase creativa ha poi lasciato il passo agli impegni familiari e di lavoro, una vita a scrivere relazioni su relazioni, senza però smettere di leggere romanzi nel tempo libero. Da qualche anno, di tempo ne ho a iosa e così è rispuntata la passione. Dopotutto, i vecchi amori non si dimenticano”.

Quali temi o argomenti sono ricorrenti in questo tuo progetto editoriale firmato Bertoni Editore?
“Non posso svelarli, altrimenti toglierei ai lettori il gusto di scoprire da soli i messaggi che reca. Aggiungo che il racconto presenta tinte proprie del “giallo” e/o del “poliziesco”, benché non sia di genere, e sarebbe davvero un peccato rivelare le sue tematiche di fondo. Dico soltanto che attrarrà i lettori e di essere sicuro che tanti di essi si appresteranno a ipotizzare conclusioni, da semplici spettatori oppure indossando i panni di taluno o talaltro dei personaggi che lo animano”.

Come definiresti il tuo stile?
“Sono tra coloro che pensano che la vita sia un immenso palcoscenico ove ciascuno di noi recita la propria commedia come meglio sa o desidera fare. Il giusto antidoto contro ogni genere di tragedia si manifesti. Proprio per questo i miei racconti, “non di genere” come si usa dire, hanno più sapore di commedia che di tragedia. Da autodidatta quale sono, amo scrivere utilizzando differenti registri linguistici, dal formale al colloquiale, dal “parlato” al dialettale. Faccio uso delle principali figure della retorica classica, non disdegno l’uso dell’ipotassi e mi adopero affinché il lettore non abbia dubbi su ciò che legge. Il tutto a condizione che tali sforzi – orientati al prodotto anziché al mercato – suscitino sorrisi e abbiano ritmo e musicalità. Non so se questo stile abbia un nome. Se ce l’ha, io non lo conosco”.

Giuseppe Petti
‘Di raso viola’ di Giuseppe Petti – Cityrumors.it

 

Quali scrittori del passato ti hanno ispirato?
“Più che ispirato, mi hanno stregato. Ve ne sono tanti e non tutti del passato. Ne cito solo alcuni: Verne e Stevenson, per la capacità d’immaginazione; Simenon, per la forza creativa; Manzoni e Calvino per l’impegno sociale; Márai e Gary, per l’efficacia della scrittura. Tra gli autori contemporanei, seguo Ian McEwan e Jonathan Franzen per le tematiche trattate e la profondità d’introspezione. Le opere di questi ultimi e quelle di Alan Bennett, Arturo Pérez-Reverte e dello
scomparso Paul Torday per me costituiscono materia di studio. Mi rendo conto di prediligere le scritture di mano maschile, sono solo gusti personali, ma ammiro anche i romanzi di Elsa Osorio, Louise Erdrich, Kate Christensen e Jeanine Cummins”.

Come ha avuto inizio il processo di scrittura di “Di raso viola”?
“Potrà sembrare strano, ma la mia scrittura si manifesta all’ingrosso nei pensieri mentre viaggio in treno o in auto, quando chiacchiero con gli amici o il barbiere, lungo i giri in bicicletta sul lungomare o nel centro storico, alle soste ai bar o durante i pasti che consumo a casa. Utilizzo la tastiera del PC solo per dare forma, sostanza e precisione a quelle elucubrazioni. È successo anche in questa occasione. Nemmeno mi sogno di stilare progetti a tavolino o
scalette più o meno sofisticate. Di certo non improvviso, ma vivo la stesura di un romanzo con tranquillità, senza fretta o ansia e – soprattutto – senza nutrire troppe pretese”.

Puoi raccontare un momento o un luogo che ti ha ispirato per questo romanzo?
“Certo. Avevo definito le linee principali di un possibile canovaccio della storia, ma ero alla ricerca di uno spunto che potesse rappresentare il suo incidente narrativo, ovvero ciò da cui tutto avrebbe avuto inizio. Io vivo a Pesaro da tempo e nel giorno della benedizione delle rose – il 22 maggio di qualche anno fa – prendevo un caffè seduto al tavolino di un bar del centro, posto di fronte a un’antica chiesa. Sul sagrato apparve un sacerdote per celebrare quella funzione – cui prestai uno sguardo – e d’incanto nella mia testa si accesero tante lampadine! Per il resto è stato come mangiare le ciliegie: l’una ha tirato l’altra…”.

Come hai scelto le parole e le immagini ‘poetiche’ presenti nel tuo romanzo per comunicare le tue emozioni ai lettori?
“Se ho compreso bene questa domanda, sono tra la schiera di quegli autori che non seguono il principio recato dal motto “show, don’t tell”, così seducente per tanti altri. Nel mio piccolo, preferisco seguire gli insegnamenti recati da una nota massima del Barone di Montesquieu: “Non bisogna mai esaurire un argomento al punto che al lettore non resti più nulla da fare: perché non si tratta di far leggere, ma di far pensare.” Ciò detto, è un fatto che la scelta delle parole occupi la maggior parte del tempo che dedico alla mia passione per la scrittura narrativa”.

Qual è il tuo obiettivo principale quando scrivi nuovi libri?
“Ve n’è solo uno: proporre ai lettori – con ironia e leggerezza – una inconsueta versione delle cose della vita. Per invitarli a staccare la spina del quotidiano, ad accomodarsi a bordo del mio tappeto volante e scendere inpicchiata tra le pagine del libro, a divertirsi come mi ero divertito io mentre lo scrivevo, ma anche per stimolare qualche loro riflessione, se riterranno ne valga la pena. In fondo, si tratta soltanto di commedia…”.

Se tu potessi fare un regalo all’umanità per cosa opteresti?
“Uhm, bell’affare! Vediamo… Ecco, vorrei regalarle un po’ della mia indole di brava persona”.

Un tuo sogno nel cassetto è…?
“Cara Ilaria, ti dico subito di non aspirare alla notorietà. Da quando mi sono accorto di essere diventato un uomo riservato non ho più fisime di quella specie. Ciò non toglie che io nutra qualche speranza: in veste di romanziere, auspico da un lato che le storie raccontate e la qualità della scrittura conquistino i lettori, dall’altro che uno dei miei romanzi possa presto o tardi diventare un film. Intanto me ne resto in rilassata attesa: Jean Luc Bertoni – il mio editore – afferma che “… i libri non scadono mai””.

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