Marcello Messori, economista, in esclusiva ai nostri microfoni sul crollo delle Borse: “E’ ancora presto per trarre delle conclusioni strutturali”.
Dopo il venerdì nero delle Borse, la situazione non sembra migliorare. Anche ieri, lunedì 5 agosto, gli indici principali hanno registrato una chiusura in rosso. In questo martedì si è vissuto un periodo abbastanza instabile soprattutto in Europa dove Francoforte, Londra e Parigi sono riusciti anche a segnare un leggero rialzo in alcuni momenti della giornata. Non è stato così per Milano, che ha sempre registrato il segno meno.
Una situazione che preoccupa molto gli investitori di tutto il mondo e noi l’abbiamo analizzata in esclusiva con l’economista Marcello Messori.
Professor Messori, ancora una giornata difficile per le Borse. Siamo davanti ad una crisi?
“E’ ancora presto per dirlo. Questo andamento degli indici principali è legato a molti fattori. Alcuni sono preesistenti e altri costituiscono delle novità. Quando si parla di fattori preesistenti ci riferiamo al quadro geopolitico, ma anche alle difficoltà note da tempo per quanto riguarda l’economia macroeuropea. Noi abbiamo dati di crescita post pandemia che sono assolutamente modesti. Se a tutto ciò aggiungiamo che non abbiamo mitigato la crisi monetaria con una politica di bilancio espansiva, come fatto dagli Stati Uniti, allora possiamo spiegare questa crisi”.
Quali sono i fattori novità?
Sì, parlo dell’ulteriori aggravarsi della questione geopolitica, alcuni dati non positivi sull’economia statunitense e le difficoltà delle Banche centrali di dare segnali di reazioni in presenza di una caduta del tasso di inflazione. Poi vanno aggiunti alcuni fattori tecnici”.
Ovvero?
“La concentrazione sempre più accentuata nei azionari statunitense in pochissime società oppure il fatto che la Banca centrale giapponese ha deciso di rivalutare lo yen rispetto alle principali monete per mettere fine a tutte le azioni che portavano molti investitori a indebitarsi sul mercano nipponico per poi reinvestire in quelli americani. E’ comunque ancora presto per trarre delle conclusioni strutturali“.
Si parla già di recessione.
“Non bastano questi dati per ipotizzare l’ingresso degli Stati Uniti di recessione. Resta la spada di Damocle della situazione geopolitica. Ci sono sicuramente fattori extraeconomici che pesano moltissimo e mi preoccupano da cittadino. Ma dal punto di vista economico non mi sembra che ci siano stati cambiamenti radicali. Prima di lanciare qualsiasi allarme, aspetterei ancora un po’ di tempo“.
Negli ultimi mesi si è parlato di ripresa economica post pandemia. Ora questo crollo. Il rialzo c’è stato davvero oppure si è trattato di un semplice rimbalzo?
“C’è stata. In alcuni Paesi europei e negli Stati Uniti abbiamo visto una crescita forte. Dopodiché si trattava di consolidare la ripresa e questo significava fare scelte molto lungimiranti. Per esempio bisognava rendersi conto che con lo scoppio della guerra in Ucraina erano venuti meno quei fattori che avevano portato l’economia del Vecchio Continente ad essere competitiva come per esempio il basso prezzo dell’energia. Questo fa sì che io sia più preoccupato per la situazione dell’Ue che per quella americana“.
Se questa situazione si dovesse confermare in futuro, c’è il rischio di avere degli effetti sulla manovra di bilancio?
“Certo, se si verificasse una crisi finanziaria le conseguenze per l’economia reale sarebbero molto pesanti soprattutto per i Paesi che hanno squilibri strutturali e mi riferisco al debito pubblico. Ci sarebbero problemi per tutti quei Paesi che devono effettuare aggiustamenti per le loro politiche di bilancio. Per avere meno conseguenze ci vorrebbe una politica economica centrale ed espansiva a livello europeo. Questa sicuramente consentirebbe ai singoli Paesi di aggiustare con maggiore facilità gli squilibri. Ma così non è. Quindi in caso di forti instabilità, le ripercussioni sull’economia reale sarebbero importanti“.
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