Il lavoratore può chiedere un risarcimento al datore di lavoro che lo stressa con le continue richieste di lavoro. Ecco come muoversi.
La nostra è stata ribattezzata una società 7 x 24, dove le attività non conoscono sosta. Sempre di più si tende a lavorare no-stop e di conseguenza la distinzione tra lavoro e riposo si fa sempre più fragile e i lavoratori rischiano di vedersi mobilitati ben al di là di quanto prevede la Costituzione.
La nostra carta costituzionale, lo ricordiamo, tutela il diritto alla salute psicofisica e al riposo dei lavoratori. Inoltre stabilisce che per legge debba essere prevista la durata massima della giornata lavorativa, oltre al riposo settimanale e alle ferie annuali retribuite (irrinunciabili).
Di recente la giurisprudenza è tornata a pronunciarsi sui diritti dei lavoratori costretti a lavorare più del dovuto. In diverse occasioni quest’anno la Cassazione ha sentenziato su richieste di risarcimento danni avanzate da alcuni dipendenti nei riguardi del datore di lavoro. Ecco quando si può chiedere di essere risarciti per aver lavorato troppo.
Risarcimento per lo stress da troppo lavoro: come chiederlo
Il Codice Civile (art. 2087) impegna infatti il datore di lavoro ad adottare ogni misura necessaria, nella sua impresa, a tutela dell’integrità fisica e della personalità morale dei suoi dipendenti. Gran parte dei CCNL di riferimento prevede che le ore settimanali di lavoro non possano essere superiori a 40 e che la parte di lavoro che eccede le 40 debba essere definita come lavoro straordinario e che in ogni caso questa non possa superare le 8 ore settimanali.
Perciò lavorare oltre 48 ore a settimana non è più un lavoro “straordinario” ma un illecito. In più tra un turno lavorativo e l’altro va osservato un periodo di riposo mai inferiore a 11 ore. Premesso questo – fatti salvi i contratti collettivi che prevedono anche meno ore di lavoro settimanale – il lavoratore stressato da un pluslavoro illecito può seguire due vie per tutelarsi.
Come prima cosa il lavoratore può chiedere di essere risarcito per mobbing, cioè per la condotta aggressiva e persecutoria da parte del datore di lavoro che si prefigge di precipitarlo in una situazione di disagio psicofisico. In questo caso però l’onere della prova ricade pesantemente sul lavoratore, chiamato a dimostrare il torto subito e anche l’intenzione del datore di lavoro di mobbizzarlo.
In alternativa il lavoratore dipendente può avanzare una richiesta di risarcimento del danno per “straining”. Si tratta di una sorta di “mobbing attenuato” dove il lavoratore non dovrà dimostrare ogni singola condotta lesiva subita o l’intenzione del datore di lavoro di arrecargli danno. In questo caso il risarcimento riconosciuto al lavoratore deriverà solo dal fatto di aver lavorato più ore del dovuto e in un ambiente lavorativo stressogeno che lo ha portato all’esaurimento.
In altre parole non servirà il certificato medico. Basterà solo dimostrare di aver lavorato oltre i limiti previsti dalla legge. Per dimostrarlo basterà produrre semplici prove come le chiamate, i messaggi o le mail ricevute fuori dall’orario di lavoro o nei giorni di riposo.