Tante aziende stanno introducendo la settimana lavorativa di quattro giorni e gli stessi lavoratori sono disposti a guadagnare di meno per avere più giorni liberi
L’avanzare della tecnologia e soprattutto dell’intelligenza artificiale sta portando alla ribalta, ancora una volta, il tema della “settimana corta”, ossia la riduzione del numero di ore lavorative settimanali o nel loro riequilibrio. Certo, non è un argomento nuovo. Già nel 1994 si era proposta una simile innovazione che però non aveva trovato tempi fertili, anzi, aveva portato alcune aziende a diverse problematiche. Ora, ad esempio, la multinazionale Mondelez International (che controlla i marchi Oro Saiwa, Oreo, Toblerone, Milka, Fattoria Osella, Sottilette e Philadelphia) ha scelto di seguire anche in Italia la linea tracciata da Belgio, Spagna e altri Paesi europei e di avviare una sperimentazione della settimana corta.
Introdotta già in Italia
La riduzione dei giorni lavorativi è stata già implementata nei processi produttivi anche di grandi aziende italiane, ad esempio la Lamborghini ha introdotto una settimana lavorativa di 4 giorni con una riduzione pari a 31 giornate l’anno e parità di stipendio rispetto alla settimana “piena”, ma anche Essilor Luxottica e Intesa San Paolo. Per contro, ci sono anche società che ritengono non “fruttuosa” questa soluzione, perchè “questa modalità di lavoro potrebbe generare un calo di competitività”, come sostenuto da Claudio Domenicali, amministratore delegato della Ducati.
Invece secondo Michele Tiraboschi, ordinario di diritto del lavoro all’università di Modena e Reggio Emilia, “il tema della riduzione e della rimodulazione dell’orario di lavoro va inteso come una lente per mettere meglio a fuoco l’intreccio di vari fattori che stanno influenzando il mondo del lavoro e delle imprese”, quindi per sperimentare soluzioni diverse, “che non si basino su una formula fissa, ma che siano adattabili alle esigenze produttive e organizzative di ciascuna realtà”.
I parametri da tenere in considerazione
I parametri da tener presente sono molti, come sempre, la soluzione ottimale per uno potrebbe essere la peggiore per l’altro. In Germania la possibilità di ridurre l’orario è stata applicata anche nel settore metalmeccanico permettendo agli operai di “convertire il proprio premio annuale in ore di lavoro da scalare all’orario normale per chi ha esigenze di cura o formative”. Dipende per certo dal tipo di settore, dall’impiego lavorativo, dalla mansione specifica, dall’occupazione e dai ritmi medi, e così via. Sotto alcuni punti di vista è una proposta allettante sia per i lavoratori che per le imprese, ma la scelta non è semplice. Sempre nel 1994 la Volkswagen si era fatta promotrice di questo sistema, riducendo gli orari a una settimana di quattro giorni lavorativi per uscire dalla crisi, salvo poi tornare dopo pochi anni sui suoi passi a causa dei costi aumentati e della produzione ribassata, ma erano altri tempi. La ratio potrebbe essere ricondotta alle aziende che hanno avviato sperimentazioni sulla riduzione dell’orario non concentrate in un unico giorno, ma modulate a seconda delle necessità.
Comunque, il 55% degli italiani è disposto a guadagnare meno pur di avere un giorno libero in più. La percentuale sale al 62% nella fascia di età tra i 25 e i 34 anni. C’è poi anche chi, come Andrea Tardiola, direttore generale dell’Inail, ritiene che adottare massicciamente lo smart working abbia ricadute positive sugli infortuni in itinere, che rappresentano circa il 15% del totale. La speranza è che concentrare il lavoro su meno giorni favorisca il benessere psicofisico dei lavoratori, con conseguente riduzione della sindrome da burnout, assenteismo e dimissioni volontarie, nonché appunto malattie professionali e infortuni sul lavoro.