Il settore della ristorazione sta affrontando una grave crisi dovuta alla carenza di personale. Questo perché i ristoratori faticano nel trovare professionisti con le qualifiche necessarie per soddisfare le proprie esigenze
In tutta Europa è allarme mismatch, il disequilibrio tra domanda e offerta di lavoro. Dopo la fase più dura del Covid la domanda da parte delle imprese è aumentata molto, soprattutto nel cercare profili specializzati. Alle imprese servono ingegneri, informatici, chimici, medici, architetti, geometri, ma anche periti, operai di primo livello e lavoratori nel mondo della ristorazione.
C’è preoccupazione nel settore della ristorazione. Infatti, sebbene l’occupazione sia tornata ai livelli del 2019, quelli prima della crisi dovuta al lockdown e alle varie restrizioni imposte, con 987mila occupati, il 60% degli imprenditori lamenta grosse difficoltà nel reperimento di personale. E nel trimestre in corso servirebbero oltre 150 mila addetti, ma ci sono difficoltà a reperirli sul mercato del lavoro.
Un settore in crisi nonostante numeri positivi
Un settore in forte ripresa, soprattutto dopo la grande paura del periodo legato alla pandemia che aveva, tra un lockdown e una restrizione accettata pur di poter lavorare, ritrovato la fiducia dei clienti, ma che ora si trova davanti a un problema diverso e di non facile soluzione. Quasi 3 aziende su 4 sono in grande difficoltà nel trovare personale qualificato per i loro esercizi e ad oggi mancano circa 150mila figure professionali. Lo afferma un’analisi dell’Ufficio studi di Fipe-Confcommercio, presentata in occasione dell’iniziativa ‘La ristorazione nella comunicazione. Valori, pregiudizi e strumentalizzazioni’. Non è soltanto un problema italiano e di questo determinato settore, è una crisi, quella del personale qualificato per alcuni specifici comparti, che viene segnalata in tutta Europa. In Italia però è soprattutto il settore della ristorazione a risentire di questa mancanza di addetti, tanto che la situazione è talmente grave da aver spinto alcuni esercenti a chiudere definitivamente le “saracinesche”. Le cause sono diverse, per prima cosa, il reddito di cittadinanza spesso è sufficiente per dissuadere chi lo percepisce dalla ricerca di un posto di lavoro. In secondo luogo, non aiuta la crisi economica, che ha costretto bar e ristoranti ad abbassare gli stipendi proposti al personale per compensare l’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia.
Come uscire dall’impasse
Secondo il rapporto di Fipe-Confcommercio, il settore sconta anche una cattiva pubblicità soprattutto sui media. “La ristorazione, spiega infatti il presidente di Fipe-Confcommercio, Lino Enrico Stoppani, “sconta un difetto di inquadratura da parte dei media e della stessa opinione pubblica, che tendono a mettere a fuoco solo gli aspetti più sensazionalistici, trascurando le componenti valoriali, sociali ed economiche. Cosi mentre si fa grande clamore sul cosiddetto ‘toastgatè, poco si parla di imprese, valore aggiunto e occupazione”. Insomma basterebbero poche mele marce a rovinare l’immagine di un comparto invece in forte ripresa, soprattutto con il grande ritorno del turismo in Italia, per disincentivare un lavoratore a cercare fortuna in questo settore. Qualche giorno fa è intervenuto sulla questione anche il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, “gli imprenditori dei pubblici esercizi hanno tenuto in piedi un settore economico anche durante periodi difficili come quello della pandemia. Noi dobbiamo tanto ai nostri imprenditori e dobbiamo garantire quel valore aggiunto come sistema Italia che è la qualità. Dobbiamo raccontare quello che hanno fatto di positivo e stargli vicino abbattendo il costo del lavoro il più possibile”, ha spiegato il ministro.