Claudio Bertolotti, ricercatore dell’Ispi, in esclusiva ai nostri microfoni su quanto sta succedendo in Medio Oriente negli ultimi giorni
È sempre più alta la tensione in Medio Oriente. La decisione di Israele di colpire Hezbollah in Libano ha portato l’Iran a reagire. E ora siamo davvero ad un passo dallo scoppio di una guerra regionale allargata. Uno scenario che spaventa tutto il mondo e per questo motivo l’invito da parte degli attori internazionali è quello di arrivare ad un cessate il fuoco nel minor tempo possibile.
Noi di quanto sta succedendo in Medio Oriente ne abbiamo parlato in esclusiva con Claudio Bertolotti, ricercatore dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale ndr).
Dottor Bertolotti, partiamo dalla tensione tra Iran e Israele. Siamo arrivati alla cosiddetta guerra regionale allargata?
“Ci troviamo ad un passo dall’allargamento del conflitto e dal confronto diretto tra Israele e Iran. L’ultimo attacco di Teheran è riconducibile per tipologia a quello effettuato nei mesi scorsi. La reazione è stata contenuta e dovuta alla necessità dare un chiaro messaggio ai propri alleati: il governo iraniano vuole far vedere di essere ancora alla guida di una coalizione anti-israeliana e contro gli americani. Ma in realtà non è così. L’asse di resistenza è di fatto una narrazione che ha dimostrato una sua inconsistenza“.
Si spieghi meglio.
“L’inconsistenza è stata dimostrata dal fatto che Israele è riuscito a colpire i suoi alleati uno ad uno ridimensionandoli sia dal punto di vista militare che politico. Per questo motivo l’Iran in questo momento si trova davanti ad una doppia difficoltà: gestire l’alleanza anti-israeliana e decidere se entrare in un conflitto con Tel Aviv. Una simile guerra vorrebbe dire la fine del Medio Oriente come noi lo conosciamo oggi e un Iran completamente differente“.
Altro tema è l’invasione di Israele in Libano.
“Non parlerei di una vera e propria invasione. Il governo libanese, infatti, ha ritirato le proprie forze armate lasciando campo libero agli israeliani. E Tel Aviv ha interesse che il Paese rimanga molto stabile. Diciamo che Israele sta colpendo Hezbollah, un elemento estraneo al Libano e che dipende dall’Iran. Netanyahu si sta muovendo perfettamente all’interno del perimetro del diritto internazionale. Ovvero difendersi da minacce che provengono dall’esterno“.
Come si comporteranno gli americani? Washington sembra condannare attacco fatto da Israele.
“Io non parlerei di condanna, ma di una critica a quanto successo. Bisogna dire che il sostegno americano a Israele è indiscusso. Al momento il tema centrale è l’intensità di questo attacco. Poi dipende molto anche dal risultato delle prossime elezioni. Se dovesse vincere Donald Trump, allora la posizione sarebbe in favore degli israeliani. In caso contrario si dovrebbe attuare una linea più cauta. Ma voglio sottolineare un’altra cosa molto importante”.
Cosa?
“Possiamo dire che tutte le amministrazioni internazionali continuano a guardare al processo di normalizzazione del Medio Oriente, che va avanti da diverso tempo e non si è interrotto (ma solo congelato) con l’attacco del 7 ottobre. E il sostegno di alcuni Paesi arabi a Tel Aviv è la conferma di quanto detto in precedenza. L’Iran ha perso la propria credibilità sul piano comunicativo. Di fatto sta diventando un attore estremamente vulnerabile e potrebbe presto vedere aprire un fronte interno dove la popolazione persiana proverà a cambiare il governo che in questo momento è alla guida del Paese“.
A proposito di attori, Hamas dove lo possiamo inserire in questo schema?
“Per prima cosa dobbiamo sottolineare che è stato l’Iran a far iniziale la guerra. Teheran tramite Hamas ha congelato gli accordi di Abramo portando Israele a reagire. Ora bisogna dire che Hamas ha perso la capacità organizzativa. Questo grazie all’azione molto efficace dell’intelligence israeliana. Ma i miliziani continuano a rappresentare un pericolo. La propaganda per aumentare i soldati sta dando delle buone risposte e quindi continuano a rappresentare una minaccia“.
Con questo scenario si può parlare di pace a Gaza?
“Dipende sempre da Hamas. Per il momento si è sempre tirato indietro in sede di accordi negoziali o alzato la posta. Non vuole una soluzione negoziale, ma il coinvolgimento tutti gli attori di questa guerra“.
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