Dopo aver depositato il ricorso in Cassazione, adesso l’avvocato Schembri prepara un’altra battaglia: “Per tutti devono essere loro, ma non è così. E non è giusto”
“Non si può andare avanti in questo modo, non sono stati Rosa e Olindo a fare quella strage, ci sono tanti elementi di prova che nessuno vuole vedere, ma ora comincia un’altra battaglia per far sì che qualcuno si renda conto che in galera ci sono due innocenti…“. A parlare in maniera così accalorata a Cityrumors.it è Fabio Schembri, avvocato e capo del pool legale che difende Rosa Bazzi e Olindo Romano condannati all’ergastolo per la Strage di Erba.
I legali di Rosa Bazzi e Olindo Romano, dopo la sentenza dello scorso 10 luglio della Corte d’Appello di Brescia, hanno depositato il ricorso in Cassazione proprio per mettere in discussione quel dispositivo, anche perché “in quella circostanza non c’è stato alcun dibattimento come doveva essere fatto“. E’ accalorato e spinto dalla passione, anche perché, ammette “non dormo la notte sapendo che ci sono due poveretti che non hanno fatto nulla di quello che si dice“.
Per Schembri c’è stata una sentenza di inammissibilità, ma “questo è avvenuto però senza assumere le prove. E senza l’assunzione delle prove ci risulta difficile comprendere su quale tappeto di prove abbia potuto valutare la Corte d’Appello la richiesta di revisione”. Il ricorso è composto da oltre un centinaio di pagine e di numerosi allegati, dove sono stati inseriti tantissimi elementi di prova che non possono essere non valutati.
Gli avvocati di Rosa e Olindo incentrano l’atto depositato in Cassazione sull'”asserita mancata verifica”, nel merito, di quelle che a detta della difesa sarebbero “nuove prove in grado di scagionare gli imputati“, le stesse che non sono state considerate nel processo di revisione. “In quel processo di revisione che processo non è stato, c’è un vizio di legittimità che dovrà essere attentamente valutato dalla Cassazione. Si è detto che c’è stato un processo quando un processo non c’è stato, lo ribadisco e sottolineo, perché il fulcro del processo è, a tutti gli effetti, l’assunzione della prova durante il dibattimento, ovvero sentire i testimoni, sentire i consulenti più tanto altro. Se questo non avviene non c’è materia del contendere”.
C’è una montagna di prove o “elementi di prova” che possono diventare tali “e lo diventeranno perché la scienza non si può aggirare, in fase dibattimentale“. E tra queste prove c’è la famosa macchia di sangue che è sbucata dal nulla senza che ci siano stati elementi di prova e controprova. “Dal 2006-2007, sono stati fatti passi da gigante mostruosi, all’epoca era come essere nel Medioevo se tutto venisse rapportato ad oggi”, spiega l’avvocato con schiettezza e precisione a Cityrumors.it.
E si va nello specifico: “Quella traccia ematica ritrovata sul battitacco (una delle prove regina ndr), anche grazie alle nuove tecniche verrebbe mostrato il contrario e ci sarebbe una certificazione e verifica scientifica, la famosa macchia di sangue lo dice solo e soltanto colui il quale l’ha ritrovata, quindi è legato tutto alle dichiarazioni rese dal brigadiere Fadda”, ha voluto spiegare l’avvocato che aggiunge con orgoglio.
“Il problema è che la documentazione è poca e Fadda si smentisce – spiega Schembri a Cityrumors.it -. I nostri consulenti confermano che la traccia ematica sia sangue, ma allo stesso tempo ci sono elementi per poter dire e soprattutto poter dubitare, grazie a nuove tecniche più precise, che quella traccia ematica non proviene da quel battitacco…”. E non è proprio una cosa da poco perché sembra quasi che qualcuno ce l’abbia portata o quanto meno è quello che potrebbe dire la scienza.
E ancora e senza voglia di stare zitto anzi di spiegare per filo e per segno come stanno le cose: “Non c’è una foto, non c’è stata l’aspersione del luminol che serve per catturare le tracce invisibili. Senza usare luminol, pur volendo, soltanto un mago avrebbe potuto vedere una traccia invisibile. Sono state invertite le foto. Oggi, nel 2024, certi aspetti, certe criticità possono essere risolte facendo ricorso alla scienza”.
E per Schembri quello di presentare una prova di questo genere è stato quasi un atto di un’arroganza, “l’arroganza di chi non vuole analizzare pezzo per pezzo e poi nell’insieme le prove che sorreggono la sentenza di condanna rifugiandosi dietro a un principio di irrevocabilità della sentenza stessa”.
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