Ora è messo nero su bianco che il principio attivo della marijuana rende il consumatore meno presente e fa calare il suo rendimento sul posto di lavoro
Un recente studio dell‘University of Colorado School of Medicine rivela come adulti tra i 22 e i 36 anni, considerati consumatori abituali di Cannabis, mostrino lacune in particolari aree delle funzioni cognitive. I ricercatori tramite alcuni test hanno visto ridursi la loro attività cerebrale durante alcuni specifici compiti che valutavano la memoria di lavoro.
L’utilizzo della Cannabis o dei derivati della marijuana in genere, resta ancora molto alto in Italia. Sul totale delle operazioni di polizia svolte nel 2023, il 47% ha riguardato la Cannabis, con quasi 10mila sequestri per circa 67 tonnellate requisite, cui si aggiungono 156mila piante. Se i sequestri di infiorescenze restano in linea con il trend dei dodici mesi precedenti, si osserva un significativo aumento dei sequestri di resina, passati in un solo anno dal 19% al 30%, e una flessione del 25% in relazione alle operazioni finalizzate al sequestro di piante.
Farsi una canna è controproducente sul posto di lavoro
Resta uno dei “passatempi” preferiti da migliaia di persone quello di rollarsi una canna e lasciarsi andare al sapore della marijuana. Ma forse in pochi ammetterebbero però che il thc, il principio attivo delle foglioline verdi, non si addice con la giusta operosità sul posto di lavoro. Tante sono infatti le cause di giusto licenziamento portate avanti dalle aziende verso dipendenti scoperti a utilizzare con più o meno regolarità, la Cannabis, tante sono finite anche davanti a un giudice che non sempre ha preso la stessa decisione.
Per molti l’interesse aziendale e della sicurezza del lavoro, coincidenti anche con l’interesse pubblico collettivo, devono trovare un proprio bilanciamento con l’interesse privato del lavoratore all’assunzione di sostanze tossicologiche o psicotrope, ecco spiegato kil motivo di alcune scelte dolorose ma necessarie da parte di un datore di lavoro.
LEGGI ANCHE: Addio a Fiore De Rienzo: volto noto del giornalismo | Dal caso Orlandi alla morte del figlio, tutto sull’inviato Rai
Uno studio importante
Ora ha cercare di chiarire una volta per tutte la questione marijuana rendimento sul posto di lavoro, è arrivato un recente studio realizzato da alcuni ricercatori dell’University of Colorado School of Medicine, che ha rivelato come delle persone adulte tra i 22 e i 36 anni, considerati consumatori abituali di cannabis, evidenzino lacune in particolari aree delle funzioni cognitive. I ricercatori hanno coinvolto un gruppo eterogeneo di persone, sia di sesso maschile che femminile, considerando consumatori abituali coloro che avevano utilizzato la cannabis almeno mille volte nel corso della loro vita. Chi aveva fatto uso della sostanza stupefacente da 10 a 999 volte era stato classificato come consumatore moderato, mentre i non consumatori erano coloro che avevano avuto soltanto fino a 10 esperienze.
Durante i test gli esperti hanno esaminato la memoria di lavoro, la ricompensa, l’emozione, il linguaggio, le capacità motorie, come toccare un dito per mappare il controllo del cervello, la valutazione relazionale e la teoria della mente. I risultati sono stati inequivocabili, infatti durante le prove di lavoro, i ricercatori hanno scoperto che un uso eccessivo di cannabis sembrava ridurre l’attività cerebrale in alcune aree del cervello. Quasi tre persone su quattro dei consumatori abituali mostrava una ridotta attività cerebrale durante i compiti che valutavano la memoria di lavoro. La memoria di lavoro, spiegano gli esperti, permette di seguire le istruzioni ricevute, di visualizzare e manipolare mentalmente le informazioni.