Le elezioni amministrative in Turchia hanno segnato una prima grande sconfitta per Erdogan.
I candidati del suo partito Akp hanno perso la tornata elettorale ad Ankara e Istanbul, due città molto diverse ma importanti per la Turchia. Sono infatti rispettivamente la capitale politica ed economica del Paese.
Per la prima volta in vent’anni l’opposizione repubblicana nazionalista e laica ha vinto alle urne ed Ekrem Imamoglu e Mansur Yavas hanno battuto i candidati sostenuti dal presidente turco che è stato rieletto solo l’anno scorso, nel 2023.
L’opposizione del CHP ha cambiato leadership e questo, insieme al voto delle donne, è stato fondamentale per stabilire la sconfitta di Recep Tayyp Erdogan.
Ne abbiamo parlato in esclusiva con Luca Verzichelli, politologo e presidente della Società italiana di scienze politiche.
Professore Verzichelli, cosa rappresenta la sconfitta di Erdogan alle elezioni amministrative in Turchia?
“Rappresenta un momento fondamentale di ricostruzione dell’opposizione non solo civile ma anche politica. Il risultato lascia presagire che a livello nazionale su tutto il Paese, possa esserci un’unione abbastanza coesa per sfidare Erdogan, l’establishment intorno al suo partito, quindi all’élite che ha consentito al presidente di essere sostanzialmente padrone della politica turca negli ultimi 20 anni”.
Cosa glielo fa pensare?
“Ankara e Istanbul sono due città tradizionalmente e politicamente diverse tra loro e in entrambe i cittadini hanno scelto l’opposizione a Erdogan. Questo lascia credere che in tutto il Paese le forze politiche, unendosi, possano sfidare il presidente”.
Si tratta del voto amministrativo, ma è significativo. Cosa potrebbe cambiare a livello nazionale in Turchia?
“Al momento direi di andare coi piedi di piombo. Come ha detto, si tratta del voto amministrativo e a livello generale non cambierà la strategia politica. C’è anche un altro aspetto da considerare: come vediamo anche nelle democrazie compiute, a livello locale è più facile trovare alternative ai partiti predominanti perché c’è un contesto, una parte dell’opinione pubblica locale che fa riferimento alla necessità di avere forze di rinnovamento, leadership politiche più giovani che sfidano un sistema che sta diventando logoro”.
Cosa cambia in politica estera?
“A livello generale, la politica estera – specialmente in regimi non esattamente democratici – spesso sviluppa anche un senso di protezionismo nazionalista. Un po’ come in Russia. Bisogna essere molto cauti ma potrebbe profilarsi la nascita di un polo moderato e laico, slegato dalla figura di Erdogan, e lontano dal suo tentativo di combinare la tradizionale laicità dell’élite turca con un partito post islamico, com’è diventato il suo partito negli ultimi due decenni. È il primo tentativo di rendere al tempo stesso più pluralizzato e laico il fronte della politica turca”.
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