Il premier continua la sua battaglia a distanza con i magistrati dopo la vicenda Almasri. Le sue parole durate un evento sono molto chiare
È alta tensione fra governo e magistratura dopo la vicenda Almasri. La decisione del procuratore Lo Voi di iscrivere sul registro degli indagati il presidente del Consiglio, i ministri Nordio e Piantedosi e il sottosegretario Mantovano non è assolutamente piaciuta alla maggioranza. Una mossa che il primo ministro ha definito più volte politicizzata. Una sorta di vendetta al fatto che Matteo Salvini è stato assolto nella vicenda dei migranti.
Ma non è assolutamente finita qui perché, intervenendo all’evento La Ripartenza, il premier Meloni ha lanciato una sorta di sfida ai giudici. Naturalmente si tratta di una vicenda che continuerà a tenere banco nei prossimi giorni e vedremo se da parte del governo arriveranno delle mosse ufficiali per cambiare la magistratura.
La sfida del premier Meloni ai giudici
Il premier Meloni non ci sta. La decisione del procuratore Lo Voi non è stata accettata dal presidente del Consiglio che all’evento La Ripartenza sottolinea come si è ritrovata “in prima pagina del Financial Times da indagata. In Italia queste cose le capiscono, all’estero no. Purtroppo si dà una brutta immagine del nostro Paese. In più se io sbaglio, vado a casa. Se loro commettono errori, restano al loro posto. E questo non va assolutamente bene“.
Da parte del presidente del Consiglio anche una sorta di sfida ai giudici: “Se vogliono pensare di governare, devono candidarsi alle elezioni“. Giorgia Meloni comunque non si è detta preoccupata per l’indagine. Da parte sua c’è la massima volontà di andare avanti per la sua strada.
Il caso Almasri
Il caso Almasri tiene banco ormai da diverso tempo. Lui è militare libico accusato di crimini di guerra e contro l’umanità. Lo scorso 19 gennaio viene fermato dopo il mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale. Un fermo che è durato giusto qualche giorno visto che la Corte d’appello di Roma ha optato per la scarcerazione e subito dopo rimpatriato in Libia a bordo di un aereo di Stato. E proprio questo passaggio ha portato il procuratore Lo Voi a iscrivere sul registro degli indagato il premier, i ministri Nordio e Piantedosi e il sottosegretario Mantovano.
“A scarcerarlo sono stati i magistrati – ha spiegato Tajani difendendo le scelte del governo – l’Italia lo ha semplicemente accompagnato nel suo Paese per questioni di sicurezza“.