Sono passati già cinque anni dall’incidente in cui perse la vita Kobe Bryant insieme alla figlia Gianna e altre sette persone, quando l’elicottero su cui erano a bordo precipitò schiantandosi in California
Un triste anniversario quello che il mondo dello sport ha celebrato nella giornata odierna. Cinque anni fa, il 26 gennaio 2020, l’elicottero con a bordo Kobe Bryant, la figlia Gianna ed altri passeggeri si schiantava, spezzando la vita di uno dei più grandi atleti mai esistiti. Una tragedia terribile che ha privato tra l’altro il mondo dello sport di uno dei personaggi più carismatici e in grado di influenzare migliaia di persone con le sue gesta.
Kobe Bryant era una vera e propria icona positiva per il mondo dello sport e non solo. Vincitore di cinque titoli NBA, innumerevoli record personali ma, soprattutto, una mentalità, la famigerata Mamba Mentality, dirompente e fonte d’ispirazione per tantissime persone.
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Una tragedia che ancora fa male
“Kobe Bryant è morto, coinvolto in un incidente in elicottero“. Vengono ancora i brividi a pensare a quei minuti nei quali i lanci di agenzia ribattevano in tutto il mondo una notizia che sembrava impossibile da credere. Ancora oggi è difficile crederci, eppure sono passati già cinque anni da quel tragico momento che è difficile da dimenticare non soltanto per chi ama la pallacanestro, ma per tutti gli amanti dello sport in generale. Kobe non era soltanto una leggenda vivente, il suo passato da giocatore fenomenale del basket NBA aveva infatti fatto innamorare milioni di persone, era anche un personaggio diverso, carismatico anche nel suo post carriera.
Il fuoriclasse dei Lakers aveva una relazione speciale con il nostro Paese. In Italia trascorse l’infanzia, coltivando dei legami che segnarono la sua vita e che non si persero nemmeno quando divenne “Kobe Bryant”, la stella indiscussa dei Los Angeles Lakers dei 5 anelli. Nel 1984 suo padre Joe Bryant, anche lui cestista, venne a giocare in Italia portando con sé la famiglia e da quel momento per Kobe l’Italia divenne la sua seconda patria.
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L’eredità del Mamba
5 campionati NBA, 2 ori olimpici, 1 premio di MVP della Stagione NBA, 1346 partite di stagione regolare, 220 quelle ai playoff che vince nel 2000/2001/2002 e poi ancora nel 2009 e 2010. A 34 anni e 104 giorni, Bryant è diventato il più giovane giocatore nella storia della lega a raggiungere 30.000 punti carriera. Ma questo sconfinato palmares non basterebbe a spiegare cosa ha significato Bryant nello sport. Infatti la sua dedizione e la sua mentalità vincente sono stati elementi che spiegano perché il giorno della sua morte non è stato soltanto il basket e lo sport a fermarsi. Kobe è stato l’esempio dell’ossessione, in grado di ispirare milioni di persone in tutto il mondo a fare sempre meglio.
E non stiamo parlando solo del mondo dello sport. Un pensiero, un’attitudine quella della leggenda del basket passata alla storia come “Mamba Mentality”. Ricondurre la questa mentality a un sistema di allenamento è molto riduttivo: si trattava infatti di un vero e proprio stile di vita, che andava ben oltre l’approccio al campo di basket o alla palestra degli allenamenti, interessando ogni aspetto della quotidianità del cestista. Un promemoria diventato un libro fonte d’ispirazione non soltanto per aspiranti giocatori, per futuri campioni, ma soprattutto per allenatori, ma anche per manager d’azienda e gestori di risorse umane, perchè la Mamba Mentality va oltre lo sport e si può applicare in ogni campo dell’attività umana.