Nei giorni scorsi Gianni Rivera ha perso la sua causa contro il Milan: i suoi cimeli rimarranno in esposizione al museo di San Siro, la Cassazione ha così deciso dopo che l’ex Golden Boy ne aveva rivendicato il possesso. Ma ora la bandiera rossonera ha deciso di ricorrere alla Corte Europea pur di veder riconosciuta la paternità di tutti i cimeli di un’intera carriera.
Gianni Rivera, ex calciatore italiano, di ruolo centrocampista, fu campione d’Europa nel 1968 e vicecampione del mondo nel 1970 con la nazionale italiana. E’ stato il Primo Pallone d’oro italiano nel 1969, è considerato uno dei migliori giocatori italiani di sempre e uno tra i più grandi della storia del calcio. Ha esordito in Serie A a quindici anni con la maglia dell’Alessandria, col Milan, nel quale militò per diciannove stagioni (dodici da capitano), fu tre volte campione italiano, due volte europeo e una volta intercontinentale. 11 per numero di presenze in Serie A (527), con 128 reti è il centrocampista più prolifico nella storia della massima serie.
L’ex bandiera ricorre al tribunale
Il problema nasce dall’esposizione al Museo di San Siro di alcuni cimeli come maglie storiche e scarpini attribuiti al Pallone d’Oro 1969, oltre ad altri oggetti per il quale non avrebbe dato il suo via libera. Insomma uno sfruttamento indebito e senza autorizzazione di memorabilie varie che hanno scatenato una vera e propria guerra a carte bollate tra l’ex stella e la sua vecchia e gloriosa società. Gianni Rivera, l’ex Golden Boy del Milan e del calcio italiano, ha deciso di arrivare fino alla Corte Europea per far valere i suoi diritti nei confronti della società rossonera. La recente sentenza della Cassazione, che ha dato torto all’ex capitano, ha fatto prendere la decisione di andare avanti con gli altri gradi di giudizio. Secondo l’ex calciatore del Milan, infatti, in alcune sale dello stadio “Giuseppe Meazza” sono esposti a pagamento dei cimeli attribuiti a lui, ma non veri: “Allo stadio c’è una mia bacheca con una maglia rossonera”, ha spiegato la leggenda in una recente intervista, “che secondo me non è neanche autentica, e ci sono delle scarpe spacciate per mie: impossibile, perché alla fine di ogni annata le buttavo via”.
Una situazione degenerata da tempo
La causa va avanti da tempo: inizialmente la sentenza aveva dato ragione all’80enne ex stella rossonera, in seguito la Cassazione aveva ribaltato il verdetto confermando l’esposizione dei cimeli nel museo, pur senza possibilità di usarli per altri tipi di guadagni. “La verità è che fanno un sacco di soldi grazie a noi che non c’entriamo niente. C’è persino un busto che mi donò lo scultore Todeschini. Io l’avevo lasciato a Milanello, ma tutti sapevano che era mio. Scoprii che l’avevano esposto a San Siro, perché un amico mi ha mandato delle foto” ha raccontato ancora l’ex capitano del Milan. “L’ho scoperto per caso, e ho scoperto che la gente paga pure il biglietto. Lo ritengo uno sfruttamento d’immagine indebito, e ora mi rivolgerò alla Corte di Giustizia europea. Questi signori del sedicente museo, in realtà un paio di sale raffazzonate, parlano di interesse didattico: e allora, perché il biglietto per entrare?“, ha concluso Rivera deciso più che mai ad andare fino in fondo alla vicenda.