Il mondo dello sport ancora una volta piange uno dei suoi grandi protagoinisti: aveva vinto un oro nelle Olimpiadi di casa
I sogni degli atleti non sono cambiati con il tempo anche se lo sport si è molto evoluto. Disputare un’Olimpiade è quello di una vita, farlo in casa è la sublimazione. E se poi vinci un oro, puoi dire di aver ottenuto tutto. Ecco perché oggi lo sport italiano piange un grandissimo campione.
La prima volta è stata sulle nevi, quelle di Cortina d’Ampezzo nel 1956, anche se allora il sentimento legato ai cinque cerchi non era ancora così forte. Poi quelle estive di Roma nel 1960 e lì l’Italia aveva capito veramente di essere uscita da lungo tunnel che l’eredità della II Guerra Mondiale aveva lasciato.
Ma è successo di nuovo, nel 2006 tra Torino e le vallate olimpiche. Un’Olimpiade che aveva consacrato anche talenti alternativi, come quelli di Enrico Fabris e di una giovanissima Arianna Fontana. E che era diventata il vero canto del cigno per la nostra nazionale di sci nordico, con il doppio oro di Giorgio Di Centa e della staffetta.
Succederà di nuovo tra meno di due anni con le Olimpiadi Invernali di Milano-Cortina che per ora hanno prodotto solo molte polemiche come quelle legate alla pista per bob, slittino e skeleton. D’estate probabilmente non succederà più così ci accontenteremo di seguire quelle di Parigi 2024 dal 26 luglio prossimo.
Un’edizione nella quale l’Italia punta almeno ad eguagliare il bottino di Tokyo con 40 medaglie, 10 delle quali d’oro. Una di quelle, alla fine di un percorso fantastico, era arrivata dall’Inseguimento maschile su pista. E fra cinque mesi l’Italia guidata da Filippo Ganna sarà ancora la squadra da battere.
È morto un gigante dello sport italiano, con le sue imprese ha risollevato un Paese
Quella della pista e del quartetto vincente è una lunghissima tradizione italiana che aveva trovato la sua sublimazione nelle Olimpiadi di Roma. I due ori di Sante Gaiardoni, quello del tandem con Bianchetto e Beghetto, ma anche i quattro cavalieri d’oro dell’Inseguimento. Erano Marino Vigna, Franco Testa, Mario Vallotto (morto a soli 33 anni per una leucemia) e Luigi Arienti.
I primi due sono ancora in vita. Arienti invece, per tutti Luis, ci ha appena lasciati all’età di 87 anni ma in suo ricordo è ancora vivissimo in tutti gli appassionato. Come molti che hanno cominciato tra gli anni ’40 e ’50, Coppi e Bartali su tutti, la sua passione per la bici era nata per esigenze lavorative. Faceva il garzone e poi quella passione è diventata anche un lavoro presso una bottega di ciclista nella sua Desio.
Cominciò a gareggiare negli Esordienti con la Salus di Seregno e negli Allievi con il Pedale Cambiaghese centrando numerose vittorie anche da Dilettante. Dopo il servizio militare, la fulminazione per la pista che alternava anche al cross.
Così fu chiamato ad indossare la maglia azzurra alle Olimpiadi di Roma e insieme ai tre compagni vinse l’oro con il nuovo record del mondo. Poi il passaggio al professionismo con la Molteni e tre vittorie nel 1961 a Colonia, in una prova del Trofeo Cougnet e a Camaiore.
Ma la pista gli riusciva meglio e così si dedicò soprattutto a quella diventando grande protagonista nella Sei Giorni di Milano. Una volta smesso con lo sport, ha lavorato nelle scuole della sua zona come collaboratore scolastico e oggi tutti lo rimpiangono.