Con l’accordo del passaggio delle quote azionarie del Hellas Verona, sono diventate ben undici le società del massimo campionato italiano con una proprietà straniera
La chiamano globalizzazione, ma per qualcuno è la fine di un’identità, fatto sta che, dopo la Premier League in Inghilterra, il calcio francese e quello spagnolo, l’internalizzazione del calcio italiano si sta quasi completando. Sono infatti undici, più della metà oggi i club della nostra serie A che hanno una proprietà straniera o riconducibile a capitali stranieri. Resistono in pochi e quei pochi vengono anche considerati obsoleti, quasi un intralcio, con le stesse tifoserie che, viste le difficoltà di questi pochi carneadi a tenere il passo di un fondo estero o del cinese di turno, chiedono di passare la mano.
Secondo gli ultimi dati censiti, per quanto riguarda i massimi campionati di calcio europei, la Premier League è la competizione con la più alta percentuale di club di proprietà straniera, davanti alla Jupiler Pro League belga e alla Ligue1 francese. La Bundesliga tedesca non ha proprietà straniere, mentre la Serie A ista rimontando mese dopo mese posizioni in questa particolare classifica, gli stranieri sono arrivati anche in serie B.
Una volta c’erano le grandi famiglie e gli imprenditori italiani, dagli Agnelli a Fraizzoli, da Farina, a Dino Viola fino a Rozzi o Anconetani. Era calcio ruspante, fatto di idee e i soldi che derivavano dall’incasso domenicale del botteghino. L’avvento di Berlusconi al Milan ha rovesciato il tavolo da gioco e da li a poco sono arrivate le sette sorelle con i nuovi ricchi a cercare di scardinare antiche gerarchie: Cragnotti, Tanzi, Sensi, Garrone, Moratti, Cecchi Gori. Ma sappiamo bene come sono andate le cose e una volta scoppiata la bolla, le società di calcio italiane sono state preda facile per investitori stranieri senza scrupoli o con mire espansionistiche dei loro business, che con la new economy si sono ritrovati più che ricchi.
L’ultimo in ordine di tempo è stato l’Hellas Verona, inglobato da un fondo texano e adesso non può passare sottotraccia un dato emblematico, quello che ora i padroni stranieri dei club di Serie A hanno superato gli italiani 11 a 9. Anzi con le trattative ben avviate di Torino e Monza, il dissanguamento di italianizzazione non si è certo fermato qui. Le società calcistiche della nostra Serie A continuano a passare di mano, le proprietà straniere dilagano e nessuno che si fermi un attimo a farci su una riflessione, soprattutto che nessuno si interroghi su chi davvero sono questi cinesi, indonesiani, fondi arabi o capitali stranieri vari.
Il calcio una volta era passione, tradizione, attaccamento a un nome, un simbolo, a dei colori sociali, a quella maglia sempre uguale, oggi tutto questo sembra essere stato fagocitato dalla modernità, dal nuovo corso, dal merchandising e gli stessi tifosi, una volta così attenti alle proprie radici, sembrano accettare che la Juventus giochi le partite casalinghe con un’assurda maglia gialla, che il Milan giochi a San Siro in grigio scuro, che il Bologna e il Genoa rinuncino alle tipiche maglie a quarti rossoblù. E poi simboli nuovi, stadi che cambiano nome per omaggiare uno sponsor troppo munifico, roster in maggioranza straniero anche nei quadri dirigenziali. Insomma una vera e propria invasione esterofila in nome del sogno di arrivare a vincere. Ma all’atto pratico, quante di questi club italiani che hanno venduto anche l’anima allo straniero, hanno realmente cambiato il proprio status o migliorato la propria posizione all’interno del calcio italiano?
Resistono in pochi e quei pochi vorrebbero anche messi alla porta dai propri tifosi, De Laurentis a Napoli, Lotito alla Lazio, Corsi a Empoli, Stricchi Damiani a Lecce, ovviamente la Juventus, anche Cairo sembra oramai aver deciso di abbandonare la barca granata e Galliani quella famigliare del Monza, “Serie A sempre più in mano agli stranieri. Reggere è dura, non servono aiuti, ma il rispetto di quello che l’industria del calcio dà al nostro paese”, ha detto il patron biancoceleste Claudio Lotito, che ha aggiunto “le aziende italiane e gli imprenditori una volta investivano anche nel calcio. Adesso è venuta meno la forza economica e arrivano solo i fondi”. Schiacciati dalla necessità di inseguire l’attualità, il modernismo o semplicemente il business si è giocato sugli stessi sentimenti che da sempre hanno alimentato la passione del calcio in Italia e lo straniero oramai si sta comprando anche le nostre anime, poi però non facciamo finta di sorprenderci se un giorno, oltre la finale di Supercoppa, anche un’intera giornata di campionato si giocherà all’ombra di qualche palma esotica!
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