La misura voluta dalla Unione europea entra in vigore con l’obiettivo di arginare gli abusi e limitare le posizioni dominanti delle grandi compagnie tecnologiche
Diventa esecutivo il Regolamento sui Mercati Digitali (Dma), il famoso Digital Markets Act , che stabilisce una serie di obblighi e divieti per arginare gli abusi degli operatori dominanti, con l’obiettivo di dare vita a un mercato più competitivo dove possano prosperare anche i player più piccoli.
Nato per contrastare gli abusi di posizione dominante prima che si verifichino, prevede whitelist, con nuovi obblighi per le aziende, blacklist, con divieti e restrizioni per evitare pratiche sleali, sanzioni per le big tech che non si adegueranno e case by case assessment, ovvero valutazioni da applicare caso per caso alle grandi piattaforme.
Tecnicamente, il Digital Markets Act è uno strumento normativo ex ante: regola e definisce condotte e obblighi per le imprese prima che avvenga l’abuso. Al contrario, la normativa antitrust agisce ex post: ovvero, sanziona dopo che la violazione anticoncorrenziale è stata già messa in atto. Sotto i riflettori ci sono in particolare le big tech americane Alphabet, Amazon, Apple, Meta e Microsoft, a cui si aggiunge la cinese ByteDance, proprietaria di TikTok, che sono tenute a conformarsi alle nuove direttive. Dovranno soprattutto garantire l’accesso ai servizi dei concorrenti. Un esempio è relativo alla sentenza arrivata alla fine di un procedimento avviato nel 2019 da Spotify che aveva denunciato Apple all’Antitrust europea, condannandola alla multa record di 1.8 miliardi di euro per violazione delle regole sulla concorrenza per i servizi di streaming musicale. Infatti in caso di violazione delle norme, il Digital Markets Act prevede infatti sanzioni fino al 10% del fatturato dell’azienda e al 20% in caso di recidiva, e la minaccia di smantellamento come ultima risorsa.
Il problema che emerge è che la Commissione europea, garante della concorrenza nell’Ue, sarà costretta a “scegliere” i reati da perseguire a causa delle risorse limitate. Zach Meyers del think tank Center for European Reform avverte inoltre che “la valanga di testi aumenta il rischio che la Commissione e le autorità nazionali responsabili della loro applicazione non dispongano delle risorse necessarie per attuarli correttamente”. L’istituzione ha attualmente 80 dipendenti che lavorano sulla Dma e 123 sul Regolamento sui servizi digitali (Dsa) che ne inquadra i contenuti. Al contrario, Meta e TikTok hanno dichiarato l’anno scorso di impiegare ciascuno più di mille persone per implementare il Digital Services Act, e Google afferma di mobilitare “migliaia di ingegneri” solo per conformarsi al Dma. Il Digital Services Act mira anche a responsabilizzare e proteggere gli utenti online attraverso la mitigazione dei “rischi sistemici” e l’applicazione di “solidi strumenti di moderazione dei contenuti”. In quest’ottica dovrà essere chiaro il motivo per cui vengono raccomandate determinate informazioni e si avrà il diritto di rinunciare ai sistemi di raccomandazione basati sulla profilazione (sempre vietata invece per i minori), mentre gli annunci pubblicitari non potranno essere basati sui dati sensibili dell’utente (origine etnica, opinioni politiche, orientamento sessuale). Per quanto riguarda la protezione dei minori, le piattaforme dovranno riprogettare i loro sistemi per garantire un “elevato livello” di privacy e sicurezza. E’ inoltre importante prevedere anche misure per affrontare i rischi e gli effetti negativi sulla libertà di espressione e di informazione, attraverso termini e condizioni “chiari” e rispetto “in modo diligente e non arbitrario”.
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