E’ stata modificata geneticamente una molecola normalmente attiva nel cervello
Una nuova ricerca esplora con precisione gli effetti della rapamicina, la sorprendente sostanza che prende il nome dal luogo (Easter Island, più nota come Rapa Nui) dove fu scoperta nel 1972.
Un team di neuroscienziati italiani ha sviluppato una proteina ingegnerizzata che potrebbe migliorare la memoria. Lo studio, coordinato da Claudio Grassi, professore ordinario di Fisiologia e direttore del Dipartimento di Neuroscienze, finanziato da ministero della Università e ricerca, della Fondazione Americana Alzheimer’s Association e del ministero della Salute, è pubblicato su ‘Science Advances’ ed è di fondamentale importanza perché potrebbe avere potenziali applicazioni nel trattamento di malattie attualmente poco gestibili. I ricercatori infatti sperano che questa scoperta possa migliorare la comprensione dei meccanismi della memoria e portare a nuove soluzioni per le patologie neuropsichiatriche.
“La memoria è un processo complesso che coinvolge modificazioni a carico delle sinapsi, ovvero le connessioni tra neuroni attraverso cui viaggia il segnale nervoso, in particolari aree cerebrali quali l’ippocampo, un centro nervoso che svolge un ruolo fondamentale “, spiega Grassi . “Questo fenomeno, definito plasticità sinaptica, comporta modificazioni della struttura e della funzione delle sinapsi che si generano quando un circuito nervoso si attiva a seguito, ad esempio, di esperienze sensoriali. Queste esperienze promuovono l’attivazione di complesse vie di segnalazione che coinvolgono numerose proteine”.
Sappiamo infatti che esistono diverse proteine coinvolte in questi processi, una di queste è la proteina Limk1. Lo studio si è svolto modificando la proteina Limk1 per poi attivarla con la rapamicina, farmaco già in uso per il trattamento di serie patologie, che sembra avere effetti anti invecchiamento anche sul cervello. I risultati sono stati sorprendenti ed evidenziano netti miglioramenti della memoria. La Limk1 è infatti coinvolta nella formazione delle spine dendritiche, che sono importanti per l’apprendimento e la memoria. Come spiega Ripoli, professore associato di Fisiologia all’Università Cattolica, primo autore e ideatore dello studio: ”L’obiettivo del nostro studio è stato quello di rendere ‘controllabile’ la funzione di questa proteina che gioca un ruolo chiave nella maturazione dei punti di contatto (spine dendritiche) tra neuroni a livello delle sinapsi. Poter controllare Limk1 attraverso un farmaco significa poter promuovere la plasticità sinaptica e, quindi, i processi fisiologici che da essa dipendono”.
Insomma, grandi speranze sono riposte in questo farmaco, attraverso la ‘chemogenetica’, cioè l’unione di genetica e chimica, la ricerca promette grandi progressi nel trattamento di alcune importanti malattie del cervello. In animali di laboratorio l’uso di questa terapia genica ha determinato un significativo miglioramento della memoria. L’intento è di procedere a passo spedito con la ricerca, soprattutto per quello che riguarda il campo di applicazione all’uomo, per mettere a punto una cura per tutte quelle malattie neurodegenerative che manifestano deficit di memoria, come l’Alzheimer.
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